Non disperare, uno dei due ladroni fu salvato.
Non illuderti, uno dei due ladroni fu dannato.
(S.Agostino)
In un momento di vuoto spirituale nelle sale, l’uscita di Calvario – al cinema dal prossimo 14 maggio –, secondo lungometraggio diretto e sceneggiato da John Michael Mcdonagh è una vera e propria manna dal cielo.
L’opera, intitolata Calvario in riferimento al luogo dove fu crocifisso Gesù Cristo – l’analogia col travaglio del protagonista non è poca cosa –, narra dell’ultima settimana di vita di padre James – Brendan Gleeson –, intento a tenere assieme il suo irrequieto gregge, che pare allontanarsi dalla spiritualità e dalla fede che hanno invece consentito a lui, dopo la morte della moglie e un trascorso da alcolista, di prendere i voti e dedicare la propria vita agli altri.
La fede viene continuamente sfidata nel film, in modi che vanno dalla semplice ingiuria verbale, all’atto vandalico contro cose e istituzioni che la rappresentano – magnifica in questo senso la scena dell’incendio della sua piccola chiesa –.
Tutto questo è preannunciato nella prima – e migliore – scena, in cui non si vede altro che l’espressione sul volto di Gleeson – che rende onore ad una recitazione che non ha bisogno di dialoghi didascalici come motore dell’azione – nell’atto di confessare una delle sue pecorelle smarrite.
L’uomo, la cui identità resterà celata fino alla sequenza conclusiva in un crescendo di suspance e mistero che impreziosiscono il film rendendolo per taluni aspetti un thriller psicologico, spiega di essere stato ripetutamente abusato per cinque lunghi anni dal clero cattolico fin dalla tenera età, subendo un danno oramai irreparabile, tanto da aver quindi deciso di cercar vendetta.
A titolo di dichiarazione pubblica, ucciderà un sacerdote: non un cattivo prete – operazione che sarebbe troppo facile nella sua giustificazione, e non risolverebbe nulla –, ma uno buono.
Per essere precisi, egli ucciderà padre James la domenica seguente in spiaggia. «Ucciderò lei perché è innocente, ma le darò il tempo necessario per trovare la pace con Dio».
Padre James si propone dunque di lasciare il suo paesello nelle migliori condizioni spirituali possibili, e negli ultimi giorni della sua vita scoprirà che ci sono molte persone con rimostranze circa le carenze del cattolicesimo, nessuna necessariamente diretti a lui personalmente.
Quando qualcuno lo informa che «la sua chiesa è in fiamme», la dichiarazione ha più di un significato serio.
Il sacerdote è consapevole dei propri limiti e dei difetti cui il tempo ristretto che gli è concesso non consente di porre rimedio. Pertanto particolarmente importante è il ruolo giocato, nell’economia drammatica della piccola, dalla figlia, una giovane donna – mancata suicida – (Kelly Reilly) che, anelando disperatamente all’attenzione paterna tanto desiderata durante l’infanzia, indossa ora, metaforicamente, la croce del due volte padre – fisico e spirituale –, ricavata da rimpianti accumulati e mancate occasioni di un effettivo rapporto umano.
Mcdonagh ha il merito di essere riuscito a creare un universo umano di cui ogni esponente è estremamente caratterizzato psicologicamente oltre che moralmente. Da un macellaio giunto al capolinea del suo matrimonio (Chris O’Dowd), a una donna di facili costumi (Owen Sharpe) passando per un ricco uomo pomposo (Dylan Moran), ciascuno degli esponenti di questo microcosmo si muove per le vie del paesino irlandese come sul palcoscenico di un teatro shakesperiano: un eloquio profondo e ricco di significati nascosti, impreziosito da uno humor mai scontato, portano lo spettatore nei meandri della psiche di una crisi spirituale.