Tre racconti fantasy si susseguono con perizia ed equilibrio compositivo in un’armonica sinfonia di magico realismo, se così si può chiamare il genere che Garrone ha creato con Il racconto dei racconti, in concorso alla sessantottesima edizione del Festival di Cannes.
A una struttura episodica è preferita una trama unitaria al cui termine i protagonisti si riuniscono in una scena corale, tanto da rendere Il racconto dei racconti il dialogo fra tre delle cinquanta fiabe in lingua napoletana contenute nel seicentesco Lo cunto de li cunti di Gianbattista Basile.
Con un budget abbastanza contenuto considerando che si tratta di un fantasy – 14 milioni di dollari, quando pare che un Moretti sia costato la bellezza di 8 milioni di euro– Garrone riuscirà a rappresentare l’Italia a Cannes il prossimo 14 Maggio – data prevista anche per l’uscita nelle sale italiane – con un’opera scevra da compiacimenti felliniani o melodrammatiche velleità esistenziali – è bene ricordare che quest’anno in Costa Azzurra oltre a Garrone figureranno anche Sorrentino con La Giovinezza – che dopo il successo della Grande Bellezza ha ben pensato di adottare subito un nome inglese, The Youth – e Nanni Moretti con Mia Madre.
Il primo tentativo in lingua inglese del regista di Gomorra può dirsi ottimamente riuscito, specie considerando la difficile impresa che può essere portare sul grande schermo oggi, nell’era del digitale e di un abuso smodato di colpi di scena, animali fantastici, orchi e castelli da fiaba.
In questo senso arguta e ambiziosa al tempo stesso, la decisione di Garrone di ridurre al digitale il minimo indispensabile, solo i ritocchi finali, lavorando su scenografie dal vero che si potessero rivelare perfettamente organiche alle molteplici ricostruzioni presenti nel film.
Così, muovendosi tra splendidi castelli del sud d’Italia e suggestivi luoghi naturali (come le gole dell’Alcantara in Sicilia o il Bosco del Sasseto), Garrone ha conferito alla sua opera un’atmosfera preraffaelita, in grado di influenzare lo spettatore con quella forza evocativa che attraverso i secoli ha nutrito l’immaginario universale di illustri lettori, arrivando a influenzarne alcuni, come Perrault e i fratelli Grimm.
Il paesaggio tuttavia è solo lo sfondo su cui i personaggi si muovono, fungendo così da palcoscenico di episodi a tratti horror, consente di creare un’opera dal respiro sovra-nazionale e priva di specifici retaggi culturali.
La regina, La pulce e Le due vecchie, sono splendidamente intepretati da un cast d’eccezione: da Salma Hayek nel ruolo della Regina di Selvascura a Vincent Cassel nei panni del lussurioso Re di Roccaforte, senza dimenticare Stacy Martin, che dopo Nymphomaniac di Lars Von Trier grazia anche il cinema italiano della sua magnifica presenza, e due fantastici Rohrwacher e Ceccherini nei panni di malcapitati artisti circensi.
Dal testo originale, il più antico d’Europa nel suo genere, da cui furono poi tratte celeberrime fiabe – Cenerentola, Il gatto con gli Stivali, La bella addormentata nel bosco tanto per citarne alcune – emergono tematiche che, con ben quattro secolo d’anticipo, paiono canzonare alcune malattie del moderno occidente, come la smania per la giovinezza e la bellezza.
Oltre che da una fotografia libidinosa per gli occhi, lo spettatore è catturato anche da un’ottima colonna sonora, non a caso firmata da Alexandre Desplat – vincitore del Premio Oscar nel 2015 con Grand Budapest Hotel e candidato altre sette volte –.
Con Il racconto dei racconti Garrone ha dato prova di un’incredibile perizia e padronanza del mezzo registico che, speriamo, abbia il giusto riconoscimento.