Dopo la tempesta de La Grande Bellezza, pellicola discussa come solo poche opere sanno fare, capace di suscitare nell’animo degli spettatori i più diversi sentimenti, Paolo Sorrentino porta a Cannes Youth-La Giovinezza, presentato in concomitanza all’uscita nelle sale italiane il 20 maggio.
Anche in questo caso l’opera è destinata a sollevare un vespaio, e, ancora una volta, non si tratterà di tanto rumore per nulla.
Già, perché il regista napoletano ha di nuovo fatto centro, sollevando temi e aspetti dell’universo umano spesso dati per scontati, con una grazia e una poesia visiva che Luca Bigazzi alla fotografia carpisce e immortala nell’attimo di un fotogramma.
Una vecchia coppia d’amici alle soglie degli ottant’anni, Fred Ballinger (Michael Caine), – famoso compositore e direttore d’orchestra ritiratosi a vita privata dopo una carriera colma di successi lavorativi ma non sentimentali –, e Mick Boyle (Harvey Keitel) – regista-sceneggiatore alle prese con il suo testamento spirituale –,trascorre un periodo di villeggiatura in un lussuoso centro benessere ai piedi delle Alpi.
Più che una vacanza quella dei due artisti pare una fuga dal mondo.
Se Fred fugge da relazioni sentimentali irrisolte, Mick scappa da quel mondo del cinema cui ha dedicato tutta una vita e che ora pare non volerlo più. Il passato si presenterà ai due sotto forma della figlia per il compositore – una splendida Rachel Weisz – e di Brenda Morel per il cineasta – l’intramontabile Jane Fonda –, celebre attrice hollywoodiana che ora alla fatica del grande schermo preferisce il facile guadagno della televisione.
La fisicità dei due viene catturata e studiata nei minimi dettagli da una macchina da presa che non perdona la caducità della carne.
Con la loro presenza i protagonisti, osservati l’uno dall’altro oltre che dagli ospiti dell’albergo quasi fossero strani animali in uno zoo, paiono l’emblema della vanitas vanitatum.
Ogni cosa pare opporsi all’ineluttabile disfacimento fisico che i due spesso lamentano, crogiolandosi nella consapevolezza che lo sfiorire e la sofferenza del corpo cancellano le colpe del passato o azzerano i conti in sospeso. Ma tutto si muoverà nella direzione contraria, e così, se il desiderio sessuale non conosce inibizioni con l’età, a scuotere Fred saranno gli esiti negativi degli innumerevoli esami medici cui si è sottoposto, certificando che l’unica malattia di cui soffre non è certo fisica.
In quest’opera Sorrentino, che indossa anche i panni dello sceneggiatore, pone l’equilibrio dell’opera in una polifonia di piani narrativi e interpretativi difficilmente racchiudibili a un primo sguardo.
Se da un lato, la presenza di storie-nella-storia, personaggi allegorici di vizi e virtù come nell’oltremondo dantesco, sogni e immaginazioni tendono la mano alle soluzioni registiche che hanno caratterizzato La Grande Bellezza, dall’altro in Youth Sorrentino ha sviluppato le cifre stilistiche proprie della sua estetica portandole ad estreme conseguenze: l’opera appare talvolta episodica, la narrazione – di per sé poco fluida –, lascia il passo a virtuosismi fotografici che non tendono la mano alla storia ma si isolano in un elitario – e talvolta inaccessibile – continuum di sperimentazioni tecnico-formali.
Non sarà forse un caso che dopo This Must Be the Place, prima pellicola di Sorrentino in inglese recitata da un cast internazionale, anche ora con Youth, il regista scelga come suo protagonista un artista ormai avanti con gli anni, incapace di misurarsi col linguaggio dell’arte che lo rese celebre.
In questo senso non sarebbe sbagliato considerare la pellicola una riflessione sul cinema in generale.
Ciononostante quello che Sorrentino ha creato è un vero e proprio universo, definito e racchiuso dai confini del residence di montagna, di cui scruta con occhio indagatore le glorie e i fallimenti, avvicinandone le interazioni a quelle di marionette mosse da un burattinaio.
L’opera – un capolavoro solo in potenza –, pecca di una certa asistematicità, penalizzata dal tentativo comunque presente, di descrivere un viaggio di redenzione interiore con un inizio e una fine.
Nonostante ciò, La Giovinezza è una vera e propria opera d’arte nella dimensione in cui suscita una riflessione inesauribile ed è capace di parlare a sensibilità diverse senza ripetersi o annoiare.