Chi era Lance Armstrong? Un campione, un eroe, un’icona: un bugiardo. E’ tutto già spiegato dalla locandina del nuovo film di Stephen Frears, “The Program“, riguardante la frode sportiva del ciclista che dal 1999 al 2005 vinse sette Tour de France consecutivi, salvo poi scoprirsi capo carismatico di un radicato sistema di doping.
Il programma, appunto: ovvero il sofisticato sistema che il ciclista adottava insieme alla sua squadra per dominare tutti percorsi del tour. Non c’è molto da dire sul film di Frears, se non che si fa apprezzare per la sua accuratezza documentaristica.
“The Program” è tratto dal libro autobiografico “Seven Deadly Sins: My Pursuit of Lance Armstrong” di David Walsh, giornalista che forse prima di tutti aveva iniziato ad osservare con occhio critico le imprese del ciclista americano, tanto da lottare strenuamente per giungere alla verità. Una verità scomoda per tutti: per i diretti interessati, in primis; per il mondo del ciclismo che grazie a Lance era tornato ad avere un’immagine ‘positiva’ (le virgolette a questo punto sono necessarie), e per tutti i fan di quel superman in bicicletta che dopo aver sconfitto un cancro ai testicoli nel ’98 aveva ridato speranza a milioni di persone, creando anche una fondazione benefica per la lotta alla suddetta malattia.
C’è tutto. Il Dottore italiano Michele Ferrari, le “pressioni” fatte da Armstrong a chi provava a parlare, l’omertà e la bolla che inesorabilmente scoppia facendo sparire la parola “vincente” dal vocabolario quando si parla del ciclista americano.
Un sogno americano spezzato dalle parole di un giornalista, alle quali poi si sono aggiunte quelle della fisioterapista, poi dei vecchi compagni e così via, con molta lentezza e dopo aver disciolto ogni reticenza.
Frears si limita più che altro a raccontare la storia di un grande bugiardo, ma anche di un eroe e di un’icona, e tuttora in molti hanno difficoltà a capire se e quale caratteristica escluda l’altra. Il regista serve il piatto della verità così com’è, basandosi su migliaia di pagine di testimonianze e processi documentati, aggiungendo solo qualche pizzico di narrativa per dargli sapore.
Il risultato è un film interessante che non stanca mai. Ben Foster (“Quel treno per Yuma” e “Bang bang, sei morto!“) corre alla stessa velocità del suo personaggio (Armstrong) e colpisce per verosimiglianza e interpretazione, così come colpiscono Jess Plemons (“Black Mass – l’ultimo gangster“), Lee Pace e la breve ma pesante apparizione di Dustin Hoffman.
“The Program” si integra bene – e forse a tratti si sostituisce meglio – con altri documentari che trattano lo stesso argomento. Fra tutti si consiglia “Stop at nothing: the Lance Armstrong Story” di Alex Holmes (trasmesso in questi giorni da Sky su Bike Channel).