Un cast corale, una sola stanza, la verità da mettere letteralmente sul tavolo, sotto gli occhi di tutti: questo è “Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese, fresco vincitore ai David di Donatello.
Una sera a cena tra amici, tre coppie e Beppe, che parla sempre della sua fidanzata Lucilla ma ancora non l’ha presentata a nessuno. Un’eclissi da osservare tra una portata e l’altra e una proposta audace: quella di mettere i telefoni sul tavolo senza nascondere nulla a nessuno, per leggere tutti i messaggi in arrivo e rispondere alle chiamate in vivavoce. Ma chi è che al giorno d’oggi non nasconde almeno un segreto proprio nel suo cellulare?
Perfetti sconosciuti, una commedia brillante
Paolo Genovese ha fatto un ottimo lavoro, la sceneggiatura funziona molto bene, supportata da un cast che raccoglie il meglio che oggi il panorama attoriale italiano ha da offrire. Valerio Mastandrea spicca su tutti insieme a un cupo Marco Giallini, ma gli altri non sono da tralasciare, Anna Foglietta in primis, reggono bene i loro rispettivi ruoli, sia nei momenti comici che in quelli più drammatici, con un tocco che sembra più teatrale – è la sceneggiatura stessa a richiederlo – ma al contempo abbastanza naturale e molto credibile.
Durante la cena verranno fuori segreti inconfessabili e dinamiche inaspettate, tra amici che credono di conoscersi da una vita ma che non sanno niente l’uno dell’altro. Le dinamiche fuoriescono dalla coppia e dalle problematiche matrimoniali, coinvolgono direttamente la cerchia delle conoscenze più strette, tra delusione, stupore e rivelazioni che mettono a repentaglio i matrimoni e i rapporti al di fuori di essi. La domanda all’inizio del film trova quindi la sua risposta, quante coppie scoppierebbero se si desse un’occhiata ai contenuti degli smartphone? Continuano a squillare per tutta la cena, arrivano telefonate e messaggi osè, alcuni dei protagonisti si coprono tra di loro e scoprono che non è la cosa più funzionale da fare. In un climax finale che lascia lo spettatore sfiancato alla pari dei protagonisti, completamente immerso nella scena, fluttuante in una sceneggiatura perfettamente equilibrata, cresce la tensione, ma senza sopraffare nè gli attori nè chi li osserva. Tutto è calibrato con battute intelligenti, ironia e dramma che non diventa mai di troppo, Genovese e il suo gruppo di sceneggiatori hanno il merito di non aver reso “Perfetti sconosciuti” un’opera melodrammatica, infatti non ha la pecca di esagerare, nemmeno nei momenti più alti, quando sembra che sia venuto fuori qualche segreto di troppo. Eccessivo forse nella vita reale (ma nemmeno, c’è perfino di peggio) un dramma corale così, ma funzionale agli scopi di un film che vuole dimostrare quanta ipocrisia ci circondi, della quale noi stessi ci ricopriamo per nasconderci, da vigliacchi, per coprirci, per non perdere gli affetti.
L’impostazione del film fa pensare subito a “Carnage” e l’effetto è lo stesso, ma la svolta finale va a prendere in prestito qualcosa da “Sliding Doors“, confermando ancora una volta che i rapporti umani sono tenuti tra loro da fili fragilissimi, riuscire a mantenersi in equilibrio è fondamentale e chi ha paura di cadere, spesso, nasconde più di quanto non si possa pensare. A rendere lo spettatore ancora più vicino alla trama sono gli attori, i personaggi stessi, costruiti sulla base di modelli molto vicini a noi: c’è il tassista, l’analista, il chirurgo ma anche l’insegnante di educazione fisica, c’è di tutto un po’ perché a mentire sono bravi tutti, a ogni livello sociale, a ogni età, soprattutto con uno smartphone in mano. Talvolta per necessità, talvolta per superficialità.