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Roadies 1×1: Life is a Carnival di Cameron Crowe

Showtime lancia “Roadies“, la serie tv di Cameron Crowe che ci porta dietro le quinte del mondo della musica, dove persone instancabili lavorano affinché i concerti diventino una realtà capace di far sognare migliaia di persone.

Il potere della musica è noto a tutti, ma chi è che riesce a metterlo in atto? Troppo spesso i roadies, ovvero i tecnici che lavorano dietro le quinte durante l’allestimento di un concerto, rimangono in disparte e non vengono ringraziati abbastanza. Se amate la musica e se avete assistito a un concerto del vostro gruppo preferito, beh, parte di quelle emozioni è stata possibile grazie ai roadies. Come dice Tom Petty (si legge all’inizio dell’episodio) “Le persone non sanno nulla dei Roadies, né cosa fanno. Che siano benedetti. Io suono soltanto le canzoni, loro rendono lo show possibile“.

Roadies, sentimentalismo all’estremo

Cameron Crowe di musica se ne intende, lo avevamo capito ai tempi di “Almost famous” ma questa nuova serie è un vero e proprio inno a un mondo che lo ha influenzato e plasmato: a soli 15 anni Crowe era un giornalista e ha iniziato a seguire i tour di alcune band importantissime come i Led Zeppelin e cantanti leggendari come Neil Young per conto di Rolling Stone. Chi meglio di lui, quindi, può conoscere il mondo dei roadies? Forse proprio per questo la serie rischia di diventare fin troppo idealizzata, l’esposizione di un mito con un sentimentalismo che viene sbattuto in faccia allo spettatore senza troppi fronzoli. La colonna sonora, invece, è ben strutturata, mette in evidenza le conoscenze di Crowe, ci sono delle vere e proprie chicche da appuntare e altri tributi ancora, come quello ai Pearl Jam con “Given to fly” in una scena carica di emozione, un omaggio a Kelly Curtis, manager del gruppo di Eddie Vedder, doppiamente omaggiato tramite la figura di Wesley (Machine Gun Kelly). Non dimentichiamo, poi, che tra i produttori c’è J. J. Abrams e su questo non servono ulteriori commenti.

La storia vede protagonisti tour manager Bill (Luke Wilson) e la responsabile della produzione Shelli (Carla Gugino), entrambi lavorano al tour della Staton-House Band, circondati da una serie di personaggi che, come loro, lavorano duro per portare avanti il tour senza intoppi. In mezzo c’è una vera e propria crisi della musica, i tempi sono cambiati e mentre c’è chi cerca di restare ancora a galla avvinghiato ai cari e vecchi ideali anni ’70, le produzioni puntano sulle masse, sulla popolarità che fa guadagnare facile. Non è difficile da evincere, la critica è palese e il capro espiatorio è Taylor Swift, simbolo dell’industria musicale che sforna talenti acchiappa-soldi senza curare più di tanto tutto quello che c’è dietro. L’emblema, invece, è Reg (Rafe Spall), il financial advisor esperto di finanza ma non di musica, pronto ad annunciare un taglio dietro l’altro. Ma dietro al rock’n’roll c’è una vera e propria ideologia, miti da adorare e aneddoti leggendari da ricordare. Per questo Kelly Ann (Imogen Poots) decide di lasciare il suo lavoro, non crede più in quello che la musica ha da offrirle. Di mezzo c’è pure una stalker che non può avere accesso ai tour della band ma che è disposta a qualunque cosa pur di dare libero sfogo alla sua ossessione. Reg, invece, viene dallo sport, non è tenuto a conoscere tutti i segreti della band nè del mondo dei roadies, come gli ricorda Kelly Ann.

Roadies“, quindi, inizia con un pilot già ricco di amore, portato all’estremo, forse realista in parte ma fortemente mitizzato. Il potenziale non manca, per il momento è traballante nonostante le buone prove del cast, che però potrebbe non bastare per una sceneggiatura che vuole essere un vero e proprio tributo alla musica e a queste figure – rappresentate in maniera quasi mistica mentre annaspano in mezzo ai loro drammi privati e lavorativi – che instancabili continuano a rendere tangibili i sogni di tutte quelle persone che pagano un biglietto per vedere la loro band preferita. Il gruppo protagonista della serie è affascinante, piace fin da subito, viene voglia di farne parte: tutti sono problematici, un po’ fuori di testa, mentre il lavoro diventa sempre più complicato la vita privata non offre soddisfazioni migliori, tutti sono ugualmente appassionati e fedeli alla loro band da proteggere, ma se Cameron Crowe dovesse esagerare con il suo tributo, “Roadies” meriterebbe ancora d’essere vista?

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