Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale iniziò la Guerra Fredda, con l’Unione Sovietica e gli USA in netta contrapposizione e iniziarono la corsa agli armamenti e la corsa allo spazio.
L’America di Kennedy viveva col fiato sospeso: la crisi dei missili a Cuba, il pericolo imminente di una bomba atomica, Nikita Chruščёv che portava l’URSS verso la conquista dello spazio con il lancio dello Sputnik. Uno smacco per gli americani, la NASA si mise subito al lavoro per riuscire a batterli nel tempo. Se la Russia aveva raggiunto lo spazio, l’obiettivo principale sarebbe diventato quello di mandare un uomo sulla Luna. Con la missione Apollo gli USA riuscirono a ristabilire un primato, ma quello che non viene quasi mai raccontato di questa storia è il lavoro di tutte le persone che hanno permesso che ciò accadesse.
Tra queste c’era anche la matematica Mary Johnson (Taraji P. Henson) e “Il diritto di contare” racconta la sua storia e quella delle colleghe Dorothy Vaughan (Octavia Spencer) e Mary Jackson (Janelle Monàe). Nel film diretto da Theodore Melfi scopriamo le vite di queste donne straordinarie che non hanno dato solo il loro contributo alla NASA in ambito ingegneristico, ma hanno cambiato a loro modo le sorti della popolazione afroamericana, che in quegli anni viveva gli anni della segregazione. I bagni separati da quelli dei bianchi, i posti in fondo sugli autobus, negli anni di Rosa Parks in cui l’attivismo finiva spesso con l’oppressione da parte delle forze dell’ordine, queste donne trovarono un altro metodo per fare la differenza. Senza cartelli nè manifestazioni, ma attraverso la loro intelligenza e le loro capacità. Certo, il film di Melfi a tratti è un po’ romanzato e a sua volta non si basa solo sulla storia originale ma su un libro (Hidden Figures: The Story of the African-American Women Who Helped Win the Space Race), tuttavia quello che racconta è autentico. Salvo alcune modifiche a personaggi introdotti per necessità e qualche episodio reso più cinematografico, non c’è niente che non sia accaduto davvero. Perfino la scena più cinematografica in assoluto, quella dell’astronauta John Glenn che affida la sua vita ai calcoli di Mary Johnson. Quello è successo davvero. Nel 1962 Glenn doveva orbitare intorno alla Terra, una missione rischiosa che ha preso vita anche grazie al lavoro di Mary. Nel momento in cui ci furono delle incongruenze nel calcolo del computer, John Glenn dichiarò che senza la verifica della donna non sarebbe mai partito. Nonostante i problemi tecnici, riuscì a compiere tre orbite, pareggiando il risultato della concorrenza raggiunto da Jurij Gagarin.
“Il diritto di contare” è senza alcun dubbio una bella storia e forse anche di quelle che “vincono facile”, come tutti i film che seguono questo filone. Dal punto di vista tecnico non ci sono particolari sforzi (o sfarzi), è la sceneggiatura stessa a tenere tutto in piedi, sorretta a sua volta da interpretazioni impeccabili sia per quanto riguarda le tre protagoniste che per il resto del cast, che comprende Kevin Costner, Kirsten Dunst, Jim Parsons e Mahershala Ali (già presente in “Moonlight“, con il quale si è aggiudicato un Oscar). Tre candidature agli Oscar e nessuna statuetta portata a casa, anche “Hidden Figures” è rientrato in questa edizione degli Academy che sono sembrati il frutto dei sensi di colpa della scorsa edizione ma che hanno fatto emergere degli ottimi lavori. Il merito di Melfi è quello di non aver cercato il sensazionalismo nel quale è facile scadere, di aver mantenuto asciutta la storia, senza fronzoli e senza cercare la lacrima facile, il momento tragico, perché in una storia del genere – peraltro vera – la morale viene da sé. Da vedere, per ricordare l’importanza e il coraggio di queste donne che attraverso il loro lavoro sono state capaci di affermarsi e di cambiare le cose. Un piccolo passo alla volta per loro, un grande passo per la popolazione afroamericana segregata e per le donne stesse, tanto per ricordare una famosa citazione “spaziale”.