Il rischio di “Big Little Lies” era quello di presentare un cast sensazionale – Nicole Kidman, Reese Witherspoon, Shailene Woodley, Laura Dern, Zoe Kravitz, Adam Scott, Alexander Skarsgård – e poi rivelarsi un grande, immenso flop.
La mini-serie di David E. Kelley si basa sul romanzo “Piccole grandi bugie” di Liane Moriarty ed è ambientata a Monterey, in California. A metà strada tra “Desperate Housewives” e “How to get away with murder“, “Big Little Lies” mostra la realtà di queste mamme moderne alle prese con i figli che crescono e le convenzioni sociali. La mamma-simbolo è Madeline (una spettacolare Reese Witherspoon), che si impiccia degli affari di tutti e vive nel perenne complesso di non aver fatto altro nella vita, se non la madre. Ormai le sue figlie sono cresciute e autonome, una di loro è nel bel mezzo della fase di ribellione adolescenziale, l’ex marito Nathan (James Tupper) ha trovato una donna più giovane, Bonnie (Zoe Kravitz) per la quale tutti hanno perso la testa. Bonnie è perfetta, non solo per la sua età: insegna yoga, è un’ecologista convinta, sa sempre dare ottimi consigli. In mezzo ai complessi, le invidie e le gelosie di Madeline fa capolino Ed (Adam Scott), sempre pacato e sottovalutato, messo in disparte e dato per scontato, una bomba pronta a esplodere. Nel mondo di Madeline ci sono poi le altre donne di Monterey, a partire da Celeste Wright, interpretata da Nicole Kidman. Sposata con un uomo più giovane di lei, Perry (Alexander Skarsgård), è madre di due gemelli e sembra avere la vita che ogni donna vorrebbe, è l’emblema della felicità, almeno fin quando i riflettori non si spostano altrove. In città arriva anche la giovane Jane Chapman (Shailene Woodley), madre single del piccolo Ziggy (il promettente e futuro Sheldon Cooper Iain Armitage). Madeline si lega subito a lei ma Monterey è meno accogliente del previsto: Ziggy viene accusato di bullismo nei confronti di Amabella, figlia di Renata Klein (Laura Dern), altro membro influente della società. La donna è convinta di essere invidiata da tutte le altre per via del suo posto di lavoro importante ed è pronta a difendere la figlia a spada tratta.
Il ritratto che ne viene fuori è impietoso: i bambini seguono, volenti o nolenti, le orme dei loro genitori, il mondo di “Big Little Lies” è “Il signore delle mosche” in versione evoluta e apparentemente civilizzata, con gli adulti compresi nel prezzo. Gli istinti basici sono sempre quelli, non si possono eliminare. La mini-serie è piena di stereotipi – la versione drama di “American Housewife“, in pratica – e affronta tematiche di un certo rilievo: il problema del bullismo (di recente affrontato anche in “13 reasons why“), gli abusi e le violenze sessuali, l’omicidio che sconvolge e al contempo affascina l’intera comunità. Il chiacchiericcio è sempre dietro l’angolo e ad alimentarlo è ogni singolo personaggio, “Big Little Lies” mostra come da piccoli gesti si possano costruire storie esasperate e gossip “geneticamente modificato”. Tutto può essere frainteso oppure no, a Monterey tutti (s)parlano di tutti, non si fanno eccezioni. Come in “How to get away with murder” la narrazione prende il via ad omicidio avvenuto, racconta i fatti attraverso flashback e solo alla fine si scopre chi è la vittima. Nel corso dei sette episodi, tuttavia, quel che si pensa è che la colpa potrebbe essere di tutti o di nessuno, tutto ruota intorno all’effetto sorpresa. “Big Little Lies” non spicca per l’originalità del racconto, perché di materiale simile ce n’è in grande quantità, ma spicca sicuramente per l’altissima qualità del cast e una scenografia che funziona, salvo alcuni aspetti. C’è, per esempio, una detective (Merrin Dungey) che non riesce a vederci chiaro sull’intero caso, ogni tanto fa la sua apparizione, quasi sempre in silenzio, senza che però il suo ruolo venga definito o influenzi in alcun modo la narrazione complessiva. C’è tuttavia il sospetto che possa influire diversamente su una seconda stagione, quasi di certo in arrivo.
I temi sociali affrontati in “Big Little Lies” sono molto importanti e vengono raccontati senza troppi fronzoli, mostrando un altro aspetto che talvolta viene trascurato: la solidarietà. Un elemento che sembra scarseggiare in gruppi interamente composti da donne, per via di invidie e rivalità che si denotano chiaramente fin ai primi minuti della serie, ma che passano in secondo piano nel momento in cui è indispensabile unirsi e tutelarsi. Il mondo delle donne, che vivono di pregiudizi (a volte autoinflitti) e frustrazioni, non viene però mai snaturato nè trasformato in una caricatura. Nel corso degli episodi si approfondisce il legame tra i personaggi, la loro psicologia. Merito, senza dubbio, delle performance del cast, impeccabile dall’inizio alla fine, dal più grande al più piccolo – Nicole Kidman e Reese Witherspoon su tutti. Anche i bambini finiscono per essere coinvolti nelle dinamiche dei genitori, non solo quelle familiari ma anche quelle comunitarie. Se alcune trovate non sono memorabili ma non risultano mai stucchevoli o fuori luogo, ci sono momenti in cui ironia e sarcasmo giocano a favore della sceneggiatura, accompagnata da una notevole colonna sonora. Se è vero che in genere nelle serie tv il peso maggiore ce l’hanno il pilot e, ancor di più, l’episodio finale, “Big Little Lies” può tranquillamente essere promossa a pieni voti.