La faccia triste dell’America. Citando Jannacci, questo è quello che racconta la nuova stagione di “American Horror Story”.
“Cult” è partito in sordina, con tre episodi noiosissimi e ripetitivi, per poi fortunatamente riprendersi. Prima di dare un giudizio complessivo meglio aspettare il gran finale, ma per il momento la serie sta regalando momenti di alto livello. La setta si fa sempre più intricata, in questa sua interpretazione apparentemente eccessiva dell’America odierna, Ryan Murphy le azzecca tutte. L’episodio 6, “Mid-Western Assassin“, è arrivato subito dopo la terribile sparatoria di Las Vegas, al punto che Murphy ha deciso di tagliarne alcune parti, per non urtare la sensibilità delle vittime e dei loro cari. Ma è arrivato, puntualissimo, in un momento storico in cui l’argomento è sempre più sentito e con un tempismo inquietante, a pochi giorni dai fatti. La sparatoria mostrata in “American Horror Story: Cult“, con conseguenti tagli, è il frutto della mente di Kai (Evan Peters), leader carismatico, con un piano ben chiaro in mente e disposto a tutto pur di portarlo a termine. A Kai non sfugge niente e nessuno può uscire dalla setta senza conseguenze. A farne le spese, stavolta, sarà Meadow (Leslie Grossmann), convinta di doversi sacrificare per una causa maggiore, dà il via alla sparatoria per poi togliersi la vita. Ad assistere a tutto questo, nel tentativo di fermare Meadow, è ancora una volta Ally (Sarah Paulson), il personaggio più traumatizzato dell’intera storia delle serie tv. Ally non si rende ancora conto di quanto sia fitta la ragnatela in cui è incastrata e non sa che anche chi dovrebbe aiutarla rientra nel piano di Kai.
Nel sesto episodio scopriamo anche le motivazioni di Ivy (Allison Pill), che sta cercando in tutti i modi di fare impazzire la moglie. Scopriamo quindi che è stata Ally a partorire Oz e l’invidia di Ivy per il loro legame e l’approccio della compagna ha scatenato una rabbia molto pericolosa. Ivy rimane ancora titubante nei confronti di Kai e delle sue idee ma continua ad assecondarle.
Episodio 7: Valerie Solanas Died for Your Sins: Scumbag
Ivy non è l’unica ad essere titubante, Beverly Hope (Adina Porter) si è resa conto che non c’è parità di poteri tra lei e Kai e decide quindi di proseguire a modo suo. Si avvicina a lei una strana donna, Bebe (Frances Conroy, che ci era mancata), per coinvolgerla in un altro piano. In questo nuovo episodio vediamo Evan Peters nei panni di Andy Warhol, più “American Horror Story” di così non si può: Murphy e Falchuck hanno infatti raccontato la storia di Valerie Solanas (qui impersonata da Lena Duham), l’attivista femminista che tentò di uccidere il genio della pop art. La Solanas aveva redatto SCUM, un manifesto radicale del femminismo, cercando di mettere in atto un suo piano. Un’altra setta, che non ebbe il destino sperato dalla sua leader. Valerie Solanas ha continuato per tutta la vita a entrare e uscire dagli istituti psichiatrici nella speranza di eliminare la supremazia del patriarcato. Bebe è stata la sua compagna e ora vuole coinvolgere Beverly, Winter (Billie Lourd) e Ivy a ridare vita al movimento. Quello della Solanas è solo un altro personaggio disturbato disposto a tutto pur di mettere in atto i suoi ideali ma le tre donne si fanno convincere subito, poiché Kai sta togliendo loro sempre più spazio e il suo progetto è sempre meno paritario. Un altro argomento scottante in questi giorni, la visione della donna – le polemiche a seguito del caso Harvey Weinstein – continuamente oppressa dalla prepotenza maschile. Risuonano più attuali che mai alcuni versi del manifesto della Solanas, che certamente aveva un programma poco pacifico e un po’ più perverso per portare il genere femminile alla supremazia. Nell’episodio viene menzionato anche il serial killer Zodiac (già apparso in “Hotel“), come ennesimo uomo che si prende il merito dei delitti compiuti da una setta di donne. Anche questo femminismo portato agli estremi è un’ulteriore distorsione della società – non solo americana. Murphy mostra le conseguenze delle elezioni americane in forma eccessiva ma rimanendo sempre e comunque credibile. La sua interpretazione dell’attuale società americana è azzeccata in ogni suo punto e finalmente, dopo 7 episodi, trattata adeguatamente. Con tanto di colpo di scena sul finale. Forse prevedibile per chi si pone tante domande ma non c’è mai nulla di scontato, soprattutto all’interno di un episodio pieno zeppo di eventi e argomentazioni.