Matteo Garrone ha un modo tutto suo di fare film, un modo che si capisce bene quando ci si trova in sala e sembra che tutto sia stato cucito su misura per gli attori che lo interpretano. Com’è accaduto in precedenza, anche con “Dogman” è andata così.
“Immenso” non è il primo termine che verrebbe in mente guardando Marcello Fonte e la sua fisicità. Ma è l’aggettivo migliore che si può utilizzare per descrivere la sua interpretazione, più che convincente. Attore per caso, con alle spalle una storia che potrebbe essere materiale buono per un altro film, è stato proprio grazie a lui che Matteo Garrone ha deciso di riprendere un progetto che aveva accantonato da anni. Progetto rifiutato all’epoca da Roberto Benigni, che ha poi consegnato a Fonte il premio come miglior attore a Cannes. Con lui è stato possibile raccontare la storia di “Dogman” nel modo corretto: un racconto basato su una vicenda cruenta e inquietante, “senza perdere la tenerezza”.
La storia di Dogman
Garrone lo ha ripetuto fino allo sfinimento ma è importante ribadirlo: il film si ispira liberamente alla vicenda di Pietro De Negri, detto il “canaro della Magliana”. Un trampolino di lancio per una storia dai risvolti crudi, ma decisamente meno macabri, sulla natura umana. Il dualismo al centro di eterni dilemmi, la continua oscillazione tra bene e male e la facilità con cui si può cadere dalla parte sbagliata. Così come accade a Marcello, uomo dallo sguardo tenero, che si occupa con grande amore dei suoi cani nel suo piccolo negozio di toelettatura e che adora più di ogni altra cosa la figlia, Alida. Nonostante sia conosciuto nel quartiere – luogo e tempo sono indefiniti e informazioni superficiali – e tutti lo trattino con affetto, Marcello è un uomo solo che si ritrova come unico amico Simoncino (Edoardo Pesce). Un amico violento, un ex pugile che sta mettendo in difficoltà l’intera comunità e che lo spinge sempre di più a fare emergere il suo lato (insospettabilmente) criminale. La vita di Marcello è dolce solo quando si ritrova ad ammirare la bellezza dei fondali marini insieme alla figlia, sognando splendide vacanze in luoghi esotici e anche la sua pazienza ha un limite. Nonostante sia un uomo capace di mantenere la calma e aspettare che si plachi perfino il più aggressivo dei cani – come quello che apre il film -, ormai stanco dei soprusi di Simoncino, Marcello medita la sua vendetta, sperando nel mentre di ottenere il riconoscimento degli amici di un tempo.
Matteo Garrone ha scelto di trattare un tema ricorrente della storia del cinema, raccontando una serie di eventi che portano l’uomo a un cambiamento progressivo, costringendolo a scegliere il male. Lo fa con estrema semplicità, una narrazione essenziale, accompagnata da una fotografia eccellente e cupa. Tutto assume toni crudi e realistici e l’apice della violenza viene celato agli occhi del pubblico in sala; viene riservato solo agli spettatori reali, i cani presenti in negozio che assistono alla metamorfosi di Marcello. Un uomo che compie qualcosa di mostruoso ma che non viene percepito mai come tale da chi lo osserva dall’esterno. Piuttosto Marcello risulta bisognoso, un uomo che non è capace di perdere la sua tenerezza nemmeno quando, in preda al delirio, inizia a rendersi conto dell’accaduto. E in questo Fonte è stato un attore incredibile, in grado di raccontare ogni sfumatura del suo personaggio, la sua voglia di riscatto e al contempo il suo lato più infantile e amorevole.