“Unorthodox” è una miniserie Netflix diretta da Maria Schrader che in questi giorni sta facendo molto parlare. La storia è ispirata a quella di Deborah Feldman, raccontata nella biografia “Unorthodox: The Scandalous Rejection of My Hasidic Roots” pubbilcata nel 2012. È scritta da Anna Winger, Alexa Karolinski e Daniel Hendler, che si sono presi diverse libertà riguardo la trama, pur mantenendone intatta la sostanza. La miniserie, girata in inglese e yiddish, mette sotto i riflettori una religione fatta di regole e imposizioni rigidissime, in cui la donna è ridotta a un mero strumento per procreare. Non ci troviamo in un posto sperduto del terzo mondo ma nella capitale hipster per eccellenza, dove nascono tendenze e novità: Williamsburg, New York.
Esther Shapiro fa parte della comunità di fede ultra-ortodossa chassidica di Williamsburg e vive seguendo regole molto rigide. A 17 anni si ritrova accanto un marito che qualcun altro ha scelto per lei e l’enorme responsabilità di dover mettere al mondo dei figli: il prima possibile e tanti, per contribuire alla causa di riportare al mondo tante vite quante sono state quelle delle vittime dell’Olocausto. Dopo appena un anno il suo matrimonio con Yakov (Amit Rahav) è in crisi profonda, anche a causa delle famiglie che si intromettono e pressano la coppia per non avere ancora avuto figli. Esty ha una grande passione per la musica, in particolare il pianoforte, ma è una donna e per la sua religione non può suonare. Lo fa di nascosto, con una tastiera di cartoncino, e con l’insegnante che, in questo mondo di costrizioni, sembra essere l’unica figura amichevole per lei. Esty è cresciuta con i nonni e la presenza ingombrante di un padre alcolizzato e mentalmente instabile, senza la madre – allontanata dalla comunità quando lei era molto piccola. La sua fuga ha come destinazione Berlino. È lì che i suoi nonni sono nati e questo le permette di richiedere la cittadinanza ed è lì che ora la madre porta avanti la sua nuova vita, nello stesso posto in cui anche Esty spera di potersene costruire una. Appena arrivata nella capitale tedesca, la ragazza scopre il fascino del mondo reale, ma scopre soprattutto la bellezza della diversità. Ha un’incredibile voglia di conoscere tutto ciò che la circonda e fa subito amicizia con un gruppo di ragazzi pronti ad accoglierla e ad aiutarla a inseguire il suo sogno di fare musica. Nel frattempo, Yakov e il poco raccomandabile cugino Moishe (Jeff Wilbush) sono sulle sue tracce, e Berlino inizia a farsi stretta.
La gracile ma determinata Esty ha il volto della talentuosa Shira Haas. Con la sua espressività l’attrice è riuscita a raccontare ogni sfumatura del suo complesso personaggio, rappresentando perfettamente la difficoltà di lasciarsi alle spalle tutto quello che ha sempre saputo del mondo, varcando confini che non solo solo fisici. Esty si ritrova così a rendersi conto di non aver mai saputo nulla, di fatto, del mondo reale, se non quello che era stato accuratamente confezionato per lei. La Haas interpreta il personaggio con estrema grazia e delicatezza, mostrando la curiosità che alimenta il suo coraggio, la vergogna di essere rimasta indietro – bloccata in un tempo scandito da regole diverse – e lo stupore che la travolge ogni volta che si imbatte in quelle che per noi sono solo delle piccole e banalissime cose del quotidiano. Emblematica è la scena del lago in cui l’acqua rappresenta l’elemento di rinascita, e che segna un nuovo battesimo per Esty, pronta a tornare al mondo con un’identità tutta nuova e, soprattutto, sua e libera.