Con una bellissima e malinconica Bari sullo sfondo, il piccolo Momò deve fare i conti con una vita che si è rivelata più difficile del previsto e scoprire che, nonostante la perdita e il dolore, c’è sempre la possibilità di rinascere. “La vita davanti a sé” è il nuovo film di Edoardo Ponti, scritto con Ugo Chiti, con protagonista mamma Sophia Loren. È una nuova trasposizione del celebre romanzo “La vie devant soi” di Émile Ajar, pseudonimo di Romain Gary. Esiste già una trasposizione, che risale al 1977, due anni dopo l’uscita del romanzo. Diretta da Moshé Mizrahi, aveva come protagonista Simone Signoret ed era ambientato nel quartiere di Belleville a Parigi.
Nel film di Edoardo Ponti siamo in Italia, ai nostri giorni, in una città che spesso è stata definita “la Parigi del Sud”, dal sapore mediterraneo ma con un’identità che non viene troppo calcata, in modo da trasformarla in un posto che potrebbe essere qualunque posto. Perché la storia de “La vita davanti a sé” tratta argomentazioni – tante – che riguardano tutti, in qualsiasi posto del mondo. Certo, i personaggi sono abbastanza stereotipati e il film sembra seguire proprio lo schema di un romanzo, senza alcun guizzo e nessun effetto sorpresa, ma riesce a non deludere le aspettative.
La trama
Sophia Loren veste i panni di Madame Rosa, ex prostituta ebrea sopravvissuta ad Auschwitz che, ormai attempata, si guadagna da vivere prendendosi cura dei figli delle altre prostitute del quartiere. Un giorno viene scippata da un ragazzino, lo stesso che si ritrova poche ore dopo in casa, con la richiesta insistente del dottor Cohen (Renato Carpentieri) di tenerlo per qualche tempo con sé, cercando di mantenerlo sulla retta via. Momò (Ibrahima Gueye) ha 12 anni e ha perso la madre, ha già iniziato a frequentare i giri sbagliati e il rapporto tra lui e Madame Rosa non è iniziato con il piede giusto. Le insistenze del dottore, però, danno il via all’inizio di un rapporto pronto ad evolversi e maturare, con il tempo e con dolcezza, mettendo da parte le divergenze e le differenze. La prima, la più evidente, è generazionale; la seconda è religiosa, perché Momò è musulmano, mentre Madame Rosa insegna con ostinazione l’ebraico ai suoi bambini, ma Edoardo Ponti non sembra fare troppo leva su questi punti. Nonostante i contrasti tra i personaggi siano tanti, si concentra prevalentemente sul loro rapporto, senza scavare troppo a fondo proprio in quelle differenze che hanno forgiato la loro vita e influenzato i rispettivi modi di essere.
Le tematiche affrontate ne “La vita davanti a sé” sono degne di una nota positiva, un’ora e mezza di film non sarebbe stata abbastanza in ogni caso per approfondirle. Ponti le tratta con una certa superficialità, che però non risulta mai essere svilente, perché si concentra maggiormente sul rapporto tra i due protagonisti e il mondo che ruota attorno a loro. Gioca molto (anche troppo) sulla luce per definire ancor meglio i contrasti tra i diversi mondi in cui si muovono i personaggi. Il film scorre in modo banale e scontato, con qualche omaggio al vecchio cinema (su tutti, al capolavoro “Una giornata particolare”) ma trascinando lo spettatore all’interno di questo rapporto di odio e amore che si instaura tra Madame Rosa e il piccolo Momò. Il merito è senza dubbio dei due protagonisti: Sophia Loren si cala nella parte con estrema spontaneità e rappresenta in modo convincente e profondo il declino del suo personaggio. Ma la Loren non ha bisogno di grandi presentazioni, tutti parlano già di un possibile Oscar in arrivo per lei. La vera rivelazione è il giovane Ibrahima Gueye che, paradossalmente, rende al meglio nelle scene più difficili e raggiunge il picco nei momenti più drammatici della storia. In entrambi i casi, la seconda parte del film è migliore di quella iniziale, che sembra partire con una certa lentezza e un tocco indeciso.
Fanno da contorno il piccolo Diego Iosif Pirvu nei panni di Josif, Abril Zamora nei panni di Lola, Babak Karimi nei panni di Hamil e Massimiliano Rossi nei panni dello spacciatore. Tutti ruotano attorno ai due protagonisti in maniera abbastanza superficiale, ad eccezione di Josif e Lola. Il primo si ritrova all’interno di un rapporto che, proprio come avviene con Madame Rosa, inizia col piede sbagliato e viene intaccato da invidie infantili e immaturità ma riesce ugualmente ad essere pieno di dolcezza. Lola è un punto di riferimento nel mondo di Madame Rosa e permette di toccare un’altra tematica importante, come quella della transessualità e tutto quello che si porta dietro. Nel palazzone in cui vive Madame Rosa ci sono figli abbandonati, prostituzione, solidarietà, il rapporto con il diverso, passati ingombranti e la minaccia, sempre incombente, della criminalità. In questo caso è rappresentata dalla poco convincente (e poco presente) figura di Massimiliano Rossi, mentre Hamil rappresenta il riscatto e la luce in fondo al tunnel per dare una svolta al futuro di un bambino che si sente perso. Un uomo saggio, che fa un uso istruttivo – e non distruttivo – della sua religione, senza renderla una barriera tra sé e gli altri, soprattutto quelli che ne seguono un’altra. Nel complesso, “La vita davanti a sé” è un film godibile, che lancia numerosi spunti in più direzioni, emoziona ma senza urlare al capolavoro. La pecca peggiore rimane sicuramente il finale con “Io sì” di Laura Pausini.
“Sono giovane e ho tutta la vita davanti. Lo so, ma io alla felicità non voglio mica leccargli il culo. Se viene, bene. Sennò, chi se ne frega”.