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L’incredibile storia dell’Isola delle Rose, la recensione

La prima e unica guerra di aggressione della Repubblica Italiana è stata rivolta contro una piattaforma di 400mq a poche miglia dalla costa riminese, al di fuori delle acque territoriali. Dopo di allora, secondo il diritto internazionale, il limite delle acque territoriali è stato esteso da 6 a un massimo 12 miglia.

A leggere la trama di questa vicenda, viene quasi difficile pensare che sia successa davvero e perciò la storia dell’Isola delle Rose è incredibile, come recita anche il titolo del film. L’isola delle Rose è stata una micronazione che si autoproclamò Stato Indipendente in un giorno molto importante di un anno molto importante: il 1° maggio 1968. A crearla fu l’ingegnere Giorgio Rosa, qui interpretato da uno splendido Elio Germano. L’isola consisteva in una piattaforma di 400mq, nel mare Adriatico, che aveva un governo, il proprio stemma, di francobolli, una propria lingua, l’esperanto (Libera Teritorio de la Insulo de la Rozoj). La piattaforma divenne, nel giro di poco tempo, un punto di attrazione che suscitò la curiosità di gente proveniente da ogni parte del mondo e il motivo era principalmente uno: l’idea di libertà su cui si basa. Un’idea utopistica di libertà universale per la quale Giorgio Rosa provò a battersi, ma che fu troncata dalle decisioni del Governo Italiano. Per molto tempo, quello di Rosa è stato solo un tentativo di ottenere vantaggi commerciali (guadagnare dal turismo senza pagare le tasse) e la questione ideologica completamente spazzata via.

Se questa storia non fosse realmente accaduta, sarebbe facile pensare che potrebbe essere un film di Sydney Sibilia, sulla scia della fortunata trilogia di “Smetto quando voglio”. Invece la storia è reale e “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose” la ripercorre, pur dovendola semplificare, a partire dalla descrizione della figura del giovane ingegnere bolognese, con le sue idee e le sue invenzioni fuori dal comune. Nel suo film, Sydney Sibilia racconta la storia di Rosa con toni a tratti favolistici, semplificando il processo di costruzione della piattaforma. Il film ricalca i classici momenti della commedia italiana, che il regista ben conosce, ma offrendo una qualità decisamente superiore alla media. Merito anche di un ricco cast con Elio Germano in testa, di cui fanno parte Matilda De Angelis, Tom Wlaschiha, François Cluzet, Violetta Zironi, Maurizio Orlandini, Alberto Astorri, Luca Zingaretti e Fabrizio Bentivoglio.



Il Sessantotto è un anno particolarmente difficile da trattare e il clima politico di allora rischiava di oscurare troppo la storia, che pure grazie a quel clima ha avuto modo di prendere vita. Ma ne viene presentata una parte, in modo da agevolare la contestualizzazione e infatti l’influenza della politica non passa in secondo piano, nonostante i toni del film di Sibilia siano abbastanza leggeri. Luca Zingaretti interpreta Giovanni Leone e un perfetto Fabrizio Bentivoglio, in gran forma, interpreta il Ministro della Difesa Franco Restivo. Non manca un’incursione vaticana, tanto per rimarcare l’influenza religiosa nella vita politica italiana – figuriamoci ai tempi della DC. Il contesto politico, sebbene rilevante, non distoglie mai l’attenzione dal grande sogno di Giovanni Rosa. Il modo in cui Sibilia ritrae la politica dell’epoca è solo apparentemente superficiale: i riferimenti sono numerosi e ci sono alcuni passaggi molto significativi, che si possono considerare attuali. Il resto, le riflessioni storiche, sono destinate agli osservatori più attenti e curiosi: il film è per tutti, la verità che è stata quell’epoca della politica italiana è per chi realmente vuole vederla. Oltre al siparietto in Vaticano, uno dei momenti più significativi è sicuramente il licenziamento di Ulisse Rosa (Andrea Pennacchi). Il momento che forse più di tutti è degno di nota e sottolinea le infinite possibilità dei potenti, è la telefonata tra Restivo e Rosa. La contrapposizione tra i due è chiara, così come le contraddizioni della democrazia: “lo sa quanto è difficile garantire la libertà a 40 milioni di persone?”.

L’incredibile storia dell’Isola delle Rose” è un film perfetto? No. Un film leggero? Forse, ma non troppo. È capace di raccontare una storia assurda, la cui complessità è stata semplificata per esigenze di copione, senza annoiare mai lo spettatore, pur durando 117 minuti (che non è poco). La qualità di un film non equivale necessariamente a pesantezza e iper-impegno politico e sociale: dietro questo film si vede lo sforzo di Sibilia di renderlo fruibile non solo a un pubblico vasto, ma anche a un pubblico più internazionale. Non a caso, alle sue spalle c’è Netflix, che ha colto il potenziale della storia e ha deciso di investire direttamente.

Se non altro, Sydney Sibilia è stato in grado di dare visibilità, in modo dignitoso, a una storia clamorosa, rimasta a lungo dimenticata e sconosciuta ai più, suscitando la curiosità degli spettatori e creando uno – due, tre, mille – spunti di riflessione. Lo ha fatto a quattro mani, con Francesca Manieri, con una leggerezza intelligente e mai volgare. Il dilemma, di questi tempi, è se il pop faccia bene o male allo spettatore medio ma, considerati i tempi che corrono e la povertà di contenuti che imperversa, quantomeno Sibilia si occupa di piantare qualche semino che, si spera, dia vita almeno a un pizzico di curiosità e spinga le persone ad entusiasmarsi per la storia, andando a ricercare più informazioni. È il bicchiere pieno che si può intravedere quando si parla di Netflix e simili. Lo abbiamo visto accadere, nel caso più recente, con “La regina degli scacchi”: adesso tutti vogliono imparare a giocare a scacchi e vogliono saperne di più sui protagonisti di una scena che nell’era pre-Anya Taylor-Joy era considerata estremamente di nicchia. Forse il fenomeno si è già affievolito e tra qualche mese nessuno penserà più agli scacchi, ma intanto qualcuno avrà imparato, avrà apprezzato e magari abbracciato una nuova passione. Gli altri ci avranno provato, in ogni caso ne saranno usciti arricchiti, anche se di poco. Non è necessario avere un approccio negativo e distruttivo nei confronti di ciò che è pop: se Chiara Ferragni che promuove gli Uffizi o i Musei Vaticani suscita curiosità e passione anche solo in una persona, tra i suoi milioni di follower, perché no? Se Netflix non avesse scelto di appoggiare questa produzione e, insolitamente, di farlo con un regista italiano, non avrei conosciuto a storia di Giorgio Rosa. Non avrei aperto Wikipedia e altri articoli che parlano di questa vicenda e non saprei, per esempio, del rapporto tra Rimini e l’Esperanto nel 1965. E mi sarei persa un incredibile pezzo di storia del mio Paese. Grazie a Dio no, non è “Sotto il sole di Riccione“.

 

IL NOSTRO PARERE IN BREVE

Una storia clamorosa - Un modo leggero per conoscere uno spaccato di storia italiana.

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