I sequel sono sempre particolarmente rischiosi. Lo dicono anche ne “Il principe cerca figlio”, chiedendosi perché, se c’è una cosa bella, sia così necessario rovinarla. E ce lo chiediamo anche noi, guardando il sequel del film cult con Eddie Murphy ed Arsenio Hall, uscito nel 1988. Si tratta di una delle commedie più conosciute e riuscite di Murphy, ripresa oggi in chiave moderna e attualizzata, con l’escamotage di un figlio che il principe Akeem non sapeva di avere nel Queens. Ne “Il principe cerca figlio” ci sono tutti i cliché possibili e immaginabili e la forzatura di tutti gli stereotipi per poter essere un film uscito nel 2020. La struttura rimane la più classica, senza la minima sorpresa: re Joffer (James Earl Jones) è in punto di morte e sta per lasciare il suo trono al principe Akeem. Ritroviamo quest’ultimo sposato con la donna che ha sempre amato, Lisa (Shari Headley), e padre di tre figlie. Le donne di Zamunda hanno un ruolo marginale e nel frattempo Akeem deve affrontare la minaccia di Izzi (Wesley Snipes), il dittatore militare che non ha ancora accettato il rifiuto di Akeem di sua sorella Imani per sposare Lisa. Per evitare una guerra, Akeem dovrebbe “unire” le due famiglie e la scoperta di un primogenito nel Queens sembra essere la soluzione a tutti i problemi – oltre che una rivelazione abbastanza sconvolgente.
Akeem decide di tornare nel luogo in cui era andato a scoprire se stesso e conosce Lavelle (Jermaine Fowler). Com’è stato inserito nella storia? Durante il suo viaggio negli USA, Akeem ha conosciuto una prostituta in un bar, Mary (Leslie Jones). Non ricorda nulla dell’evento, poiché era stato drogato. In fretta e furia, Mary e Lavelle scoprono la verità e decidono di seguire Akeem a Zamunda. Lavelle ha abitudini e cultura completamente diverse ma piano piano sembra riuscire ad entrare nell’ottica di ereditare il trono, superando le prove necessarie. Il regno di Zamunda è, in sostanza, una parodia della savana del Re Leone, in cui per far ridere lo spettatore bisogna far scoreggiare un leone – e questo è uno dei momenti più alti del film.
Perché?
Il discorso rimane sempre uguale: i sequel sono rischiosissimi, soprattutto se vanno a toccare delle vere e proprie pietre miliari. Eddie Murphy si è lanciato in questa avventura guidato dal regista Craig Brewer e il risultato è uno dei film più brutti che siano mai usciti in questi ultimi anni. Un’accozzaglia di gag demenziali e forzature che si susseguono per un tempo inspiegabilmente lungo (110 minuti), con attori di alto livello messi all’opera nel peggiore dei modi, ospiti inclusi (vedi Morgan Freeman, Le En Vogue). Ogni personaggio e ogni argomento vengono trattati in maniera banale e caricaturale: si parla dell’emancipazione della donna, del cambiamento, delle radici, di famiglia e ambizioni ma il tutto senza che ci sia nemmeno una battuta brillante per la durata dell’intero film. Non c’è provocazione, eppure le tematiche disponibili – anche per smantellare numerosi pregiudizi come accadeva nel primo film – erano molte. Nel tentativo di usare alcuni stereotipi per lanciare messaggi positivi, a partire dall’emancipazione femminile, il risultato è più disastroso che altro. Con “Il principe cerca figlio” Brewer ha ovviamente giocato sull’effetto nostalgia ma, di fatto, lo ha completamente distrutto. I rimandi al primo film sono continui ma non fanno altro che rimarcare la differenza che c’è tra quello e il sequel. Ironico che la risposta alla nostra domanda sia proprio nel film e non fa male ripeterselo: se c’è una cosa bella, perché rovinarla?