Kumandra è un luogo dove gli uomini vivono in armonia con i draghi, ma che deve affrontare la minaccia dei Druun, degli spiriti maligni che trasformano in pietra tutto quello che toccano. I draghi si sacrificano per salvare l’umanità dalla minaccia dei Druun e l’ultimo di loro, Sisu, compie l’ultimo sacrificio racchiudendo il suo potere in una gemma luminosa, che riporta la pace a Kumandra, eliminando i Druun. Il sacrificio del drago sembra destinato a lasciare un segno nella storia del regno, unendo gli uomini in un’unica comunità ma non sarà così. Inizieranno lotte per accaparrarsi la preziosa gemma, che causeranno rivalità e la divisione del regno in diverse regioni, Coda, Artiglio, Dorso, Zanna e Cuore. Tra tutti, Benja (Daniel Dae Kim) sogna di poter riportare Kumandra all’unione di un tempo e, dopo aver nominato la figlia Raya (Kelly Marie Tran) custode della gemma, decide di riunire tutte le tribù per proporre di ritornare all’unità ma avrà inizio un nuovo, lunghissimo, scontro, che porterà Raya a intraprendere un lungo viaggio insieme al fidato Tuk Tuk, nella speranza di poter trovare Susu (Awkwafina) e riportare tutto alla normalità.
“Raya e l’ultimo drago” è il 59° classico Disney ed è diretto da Don Hall e Carlos López Estrada, insieme Paul Briggs e John Ripa. Questa volta la casa di produzione ha deciso di cogliere ispirazione dalle culture asiatiche, aggiungendo una nuova eroina, all’interno di un disegno sempre più (giustamente) inclusivo, anche per quanto riguarda l’attenzione all’etnicità dei personaggi e del cast che li interpreta. A guardare i panorami mozzafiato, resi al meglio da una fotografia eccelsa, si evince di come l’Asia sia stata di particolare ispirazione per il team d’animazione che ha iniziato a lavorare al film dal 2018. Ci sono tutti gli elementi di un classico Disney: un’eroina (che non sarà l’unica), un’antagonista, un viaggio che permetterà ai personaggi di prendere consapevolezza di diverse cose, tra cui l’importanza di avere fiducia nel prossimo. Le scene d’azione offrono un’effetto più videogame ma “Raya e l’ultimo drago” scorre a ritmo serrato con il giusto bilanciamento tra dramma e comicità, come casa Disney ci ha sempre abituati.
Un mondo arido di sentimenti
Sebbene sia la protagonista, Raya non cattura tutta la scena ed è circondata da comprimari di alto livello. Trova spazio anche l’antagonista Namaari (Gemma Chan), le cui buone intenzioni svaniscono sotto l’odio accecante tramandato per più generazioni. Le due, un tempo amiche, agiscono perseguendo lo stesso obiettivo ma seguendo percorsi, anche educativi, diversi, scontrandosi più e più volte, testarde e determinate. Namaari è spinta da un racconto distorto del passato del suo regno: nulla che non si possa paragonare a quanto spesso accade nel quotidiano. Come Raya – e come la stessa Namaari – spesso ci limitiamo a non riflettere più a fondo e non ci prendiamo il tempo per farlo. Viviamo, dopotutto, in un mondo in cui sembra non esserci mai abbastanza tempo e sembra essercene sempre meno, mentre la terra diventa un posto sempre più arido in cui vivere, anche dal punto di vista dei sentimenti. La preziosa lezione del film è quella dell’importanza di comprendere quanto sia necessari riporre un po’ (più) di fiducia nel prossimo e mettere in moto il meccanismo che spinge sempre più persone ad agire per un bene comune e a voler fare la differenza. Nonostante l’aridità e i Druun che ci circondano, sembra esserci sempre un barlume di speranza, come la piccola lucina sbiadita della gemma di Sisu: minuscola ma sufficiente ad infondere l’ultima e decisiva dose di coraggio ai protagonisti della storia.
Old but gold
La trama di “Raya e l’ultimo drago” si sviluppa secondo lo schema più classico, tramite archetipi narrativi e attraverso personaggi stereotipati ma divertenti e piacevoli, in tutte le loro sfumature, tanto da non risultare dei semplici comprimari – e l’animazione soprattutto negli ultimi anni ha dimostrato di quanto questi personaggi spalla in realtà facciano la differenza. Il film racconta una caccia al “tesoro” e un viaggio che porta inevitabilmente alla crescita dei personaggi, che si scoprono e ritrovano il legame con il passato e le loro radici. La trama si sviluppa, quindi, con il giusto bilanciamento tra scene d’azione, dramma e comicità, fino ad arrivare all’immancabile lieto fine, con tanto di insegnamento e molti spunti di riflessione.
Il personaggio più riuscito, nonostante non appaia per la maggior parte del film, è senza dubbio quello di Sisu. In buona parte grazie all’eccelso doppiaggio di Awkwafina (Alessia Amendola nella versione italiana), che ha saputo ricalcarne la personalità frizzante, un po’ svampita ma allo stesso tempo profonda e consapevole. Sisu è una creatura smarrita in un mondo che non riconosce più, ma che ha una storia millenaria e solida alle spalle, nutrita dalla fiducia che i suoi fratelli draghi hanno scelto di riporre in lei. Incredibilmente, il suo ottimismo non è stato intaccato da un mondo dominato dall’egoismo in cui anche i più piccoli, come la mini ladra-guerriera Noi, sono ormai disillusi. Un altro lato positivo di “Raya e l’ultimo drago”, che lo rende più “maturo” rispetto a buona parte delle produzioni che lo hanno preceduto, è l’assenza di canzonette (con acuti spaccatimpani) in stile “Frozen”, dove non mancano le gag e i personaggi spalla comici per strappare risate ai più piccoli, ma che trovano il loro spazio accanto a spunti di riflessione e ad un significato più profondo.
Guardando “Raya e l’ultimo drago” pensare all’ultimo anno che abbiamo vissuto. Sebbene il film sia stato realizzato ben prima della pandemia, sembra calzare a pennello con questo momento storico. Dallo scorso marzo 2020 abbiamo vissuto un momento estremamente difficile, che però ha accomunato il mondo intero. Abbiamo vissuto una presa di coscienza di quanto sia importante pensare collettivamente, come comunità, ma abbiamo vissuto anche una presa di coscienza negativa: quanto sia, allo stesso tempo, difficile da mettere in pratica questo modo di pensare. Un pensiero utopistico, proprio come il regno di Kumandra.