Con “Rebibbia Quarantine” ha conquistato tutti e la speranza (e a tratti la paura) dei fan di Zerocalcare era quella che si cimentasse anche nel mondo dell’animazione. Così, poco dopo, è stato annunciato l’arrivo di “Strappare lungo i bordi”, la sua prima serie animata, ora disponibile su Netflix. La trasposizione delle opere a fumetti è sempre rischiosa, così com’è già successo con l’adattamento cinematografico “La profezia dell’armadillo”, ma questa è tutta un’altra storia. Per fortuna.
O meglio, un po’ di quelle storie – una in particolare – si possono ritrovare anche qui, ma il registro è totalmente cambiato e Zerocalcare* ne ha il pieno controllo. “Strappare lungo i bordi” racconta il viaggio di tre amici, Zero, Sarah e Stecco, da Roma a Biella, che è anche un viaggio nella propria coscienza, indotto da una motivazione che arriva forte come un pugno nello stomaco – permettendo al protagonista di fare luce sui problemi, le ansie e le paure che caratterizzano un’intera generazione. In “Strappare lungo i bordi” Michele Rech non è mai gentile verso se stesso: racconto dopo racconto ripercorre alcune tappe della sua vita, dall’infanzia all’età adulta, per spiegare e capire quello che è diventato oggi ed anche per cercare risposte a domande che, molto spesso, una vera risposta non ce l’hanno.
Per chi si aspettava una serie tv incentrata sull’ironia e il sarcasmo tipici di Zerocalcare, le aspettative non verranno deluse ma ci sarà molto di più. “Strappare lungo i bordi” è un prodotto spiazzante: si ride, la maggior parte delle volte amaramente, ma si ride. Come le sue strisce, anche la serie è fortemente influenzata dal bagaglio culturale dell’autore, che ama infarcire tutto di citazioni e riferimenti (una gioia per i nerd più incalliti), costruendo però un percorso equilibrato, che racconta la sua crescita interiore e l’arrivo di una maturità che colpisce forte, è la presa di coscienza che si anima e arriva nella forma più brutale. Non basta seguire le linee tratteggiate di un percorso che sembra privo di ostacoli per capire il senso della vita: ad ogni passo c’è molto, molto di più e spesso lo strappo fa molto male. In “Strappare lungo i bordi” Zerocalcare lo racconta benissimo, affiancato dagli amici Sarah e Secco in un viaggio – fisico e mentale – carico delle sue tipiche digressioni, sempre funzionali e mai eccessive, che fanno luce sul percorso di riscoperta della propria interiorità.
Zerocalcare schiva le aspettative anche per quanto riguarda la durata degli episodi: non durano mai oltre i venti minuti, si chiudono bruscamente e sono sempre accompagnati da una colonna sonora perfettamente aderente alla trama. Il ritmo serrato dei dialoghi/monologhi in cui Michele Rech dimostra di avere una grande padronanza anche in termini di doppiaggio, svela un protagonista che spesso pensa troppo, si condanna, racconta e diverte senza mai prendere fiato. La voce di Michele/Zero si alterna a quella della sua coscienza, l’amatissimo Armadillo che ha la voce di Valerio Mastandrea (una scena è già cult) e adesso sembra di non poter immaginare nessun altro al suo posto. Molto interessante è anche la scelta di mantenere, appunto, due sole voci: quella di Zerocalcare, per ovvi motivi, prevale, prestando la parola anche agli altri interlocutori dall’inizio alla fine, almeno fino al momento in cui la verità si svela agli occhi dello spettatore e per il protagonista la realtà prende forma e, con essa, cambia anche il suono.
Per quanto riguarda la durata degli episodi che richiamano il binge watching, ci sono due correnti di pensiero: c’è chi pensa che il ritmo serrato sia perfetto per guardare la serie tutta in una volta. C’è chi, come me, invece pensa che ogni episodio sia talmente pieno di informazioni (ed emozioni) da digerire che uno sguardo più attento – e di conseguenza una visione più lenta – permettano di apprezzare ulteriormente la serie, senza perdersi qualche pezzo. Con l’annessa paura di restare indietro nelle conversazioni a riguardo, come direbbe lo stesso Zerocalcare. Gli episodi, sei, durano troppo poco? Durano il tempo necessario per lasciarsi travolgere dal turbinio di pensieri del protagonista, che affronta tematiche molto importanti e care alla sua generazione. Una di queste è il costante senso di precarietà, la ricerca di un’identità che sembra risucchiare tutte le energie, la costante tendenza a guardare solo se stessi, dimenticandosi di tutto il resto intorno e il rischio di perdersi la complessità che caratterizza ogni cosa e le persone intorno a noi. Uno dei mali peggiori, infine, rimane l’incomunicabilità, spesso alimentata dall’ansia e la paura di buttarsi (haut les cœurs!) ed esprimere i propri sentimenti.
“Strappare lungo i bordi” sta giustamente ottenendo il plauso della critica: è una serie realizzata con grande intelligenza e cura, elementi che non sono affatto scontati, considerando che si tratta del primo tentativo. Nulla da dire sulla trama, non è il caso di fornire troppi dettagli per permettere di apprezzare al meglio la scelta narrativa spiazzante fatta da Zerocalcare, “Strappare lungo i bordi” merita di essere scoperta episodio dopo episodio. Una bellissima (e dolorosissima) sopresa.
*e le altre 200 persone che ci sono state appresso.