Tutto ha avuto inizio quando il giocatore di Colin Kaepernick è rimasto in ginocchio durante l’inno nazionale americano pre-partita in segno di protesta.
La protesta era diretta contro Donald Trump e l’oppressione delle minoranze, da quando il Presidente è stato eletto tantissime personalità dello sport e del mondo dello spettacolo si sono schierate apertamente contro di lui. È passato un anno, Colin Kaepernick ha portato avanti la sua forma di protesta senza mai alzarsi al momento di cantare l’inno, rimanendo seduto o appoggiato su un ginocchio. Da qui arriva il “take a knee” che stanno portando avanti molti altri sportivi ma non solo. Quando Kaepernick avviò la sua protesta mancavano pochi mesi all’elezione di Trump e il giocatore dichiarò:
Non starò in piedi a dimostrare il mio orgoglio per un Paese che opprime i neri e le minoranze etniche. Ci sono cadaveri per terra, non si può guardare dall’altra parte: per me è più importante del football.
La sua protesta pacifica è stata un esempio molto importante, che ha maggiore valenza adesso, in un periodo in cui Donald Trump non sembra avere intenzione di fare da ponte tra varie etnie o di voler riscattare le minoranze. Lo scorso marzo Colin Kaepernick è rimasto senza un contratto, nessuna squadra lo vuole più. Non c’è molto da interrogarsi sul motivo ma il giocatore non è stato abbandonato. Spike Lee ha avviato una protesta per le strade di New York e ora molti giocatori stanno seguendo il suo esempio.
Donald Trump ha invitato alcune stelle dello sport alla Casa Bianca, ricevendo svariati rifiuti. Il Presidente ha reagito ritirando gli inviti e sostenendo che i club debbano mandare via chi non canta l’inno nazionale. Al rifiuto di Stephen Curry dei Golden State Warriors, Donald Trump ha reagito (tanto per cambiare) su Twitter:
Andare alla Casa Bianca è un grande onore per le squadre campioni. Stephen Curry esita, l’invito è annullato.
A rispondere non è stato Curry, che si era già espresso sulla sua posizione (e che era stato alla Casa Bianca ai tempi di Barack Obama), ma lo ha fatto la star del basket LeBron James:
Andare alla Casa Bianca è stato un onore prima che arrivasse lei. Curry aveva già detto che non sarebbe venuto, quindi non c’è nessun invito da ritirare.
La protesta, in forma silenziosa e pacifica, sta dilagando ed è un esempio da seguire: Tom Brady ha prestato il suo supporto ai colleghi, i Ravens e i Jaguas prima di iniziare la loro partita a Londra si sono inginocchiati tutti. Last but not least, anche il cantante Stevie Wonder al NYC Festival insieme al figlio Kwame Morris. Poche ore dopo lo ha fatto anche John Legend, usando l’hashtag #TakeAKnee per invitare la gente a seguire la protesta.