Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, ha deciso di intervenire sulle polemiche sorte dalle ultime dichiarazioni del premier Silvio Berlusconi sulla scuola pubblica. Da L’Unità è partita una raccolta firme, per far sì che ancora una volta l’Italia si mobiliti e dimostri di avere volontà diverse da quelle proposte dall’attuale governo. Sempre su L’Unità è stato pubblicato un significativo editoriale scritto appunto da Jovanotti, da sempre molto attivo politicamente, che ha detto la sua sulla scola pubblica. Qui di seguito trovate tutta la lettera, diteci cosa ne pensate:
Quando nostra figlia è arrivata all’età della scuola io e mia moglie ne abbiamo parlato e abbiamo deciso: scuola pubblica. Potevamo permetterci di scegliere e abbiamo scelto. Abbiamo pensato che fosse giusto così, per lei. E’ nostra figlia ed è la persona a cui teniamo di più al mondo ma è anche una bimba italiana e l’Italia ha una Scuola Pubblica. Sapevamo di inserirla in una realtà problematica ma era proprio quello il motivo della scelta. Un luogo pubblico, che fosse di sua proprietà in quanto giovane cittadina, che non fosse gestito come un’azienda e che non basasse i suoi principi su una dottrina religiosa per quanto ogni religione venisse accolta. Un luogo pubblico, di tutti e per tutti, scenario di conquiste e di errori, di piccole miserie e di grandi orizzonti, teatro di diversi saperi e di diverse ignoranze. C’è da imparare anche dalle ignoranze, non solo dai saperi selezionati. La scuola è per tutti, deve essere per tutti, è bello che sia così, è una grande conquista avere una scuola pubblica, specialmente quella dell’obbligo. Io li ho visti i paesi dove la scuola pubblica è solo una parola, si sta peggio anche se una minoranza esigua sta col sedere al calduccio e impara tre lingue. A che serve sapere tre lingue se non sai come parlare con uno diverso da te ? Il nostro presidente del consiglio dicendo quello che ha detto offende milioni di famiglie e migliaia di persone che all’insegnamento dedicano il loro tempo migliore, con cura, con affetto vero per quei ragazzi. Tra le persone che conosco e tra i miei parenti ci sono stati e ci sono professori di scuola, maestre, ho una cugina che è insegnante di sostegno in una scuola di provincia. Li sento parlare e non sono dei cinici, fanno il loro lavoro con passione civile tra mille difficoltà e per la maggior parte degli insegnanti della scuola pubblica è così. Perchè offenderli? Perchè demotivarli? Perché usare un termine come “inculcare”? E’ una parola brutta che parla di un mondo che non deve esistere più. La scuola pubblica non è in competizione con le scuole private, non è la lotta tra Rai e Mediaset o tra due supermercati per conquistarsi uno spettatore o un cliente in più, non mettiamola su questo piano… La scuola di Stato è quella che si finanzia con le tasse dei cittadini, anche di quelli che non hanno figli e anche di quelli che mandano i figli alla scuola privata, è questo il punto. E’ una conquista, è come l’acqua che ti arriva al rubinetto: poi ognuno può comprarsi l’acqua minerale che preferisce ma guai a chi avvelena l’acqua del rubinetto per vendere più acque minerali. E’ una conquista della civiltà che diventa un diritto nel momento in cui viene sancito. Ma era un diritto di tutti i bambini già prima, solo che andava conquistato, andava affermato. La scuola pubblica va difesa, curata, migliorata. In quanto idea, e poi proprio in quanto scuola: coi banchi gli insegnanti i ragazzi le lavagne. Bisogna amarla, ed esserne fieri.
Cogliamo l’occasione per proporre anche la lettera di un’insegnante abruzzese, Patrizia Tocci, rivolta a Silvio Berlusconi, secondo il quale nella scuola pubblica “gli insegnanti inculchino idee diverse da quelle che vengono trasmesse nelle famiglie”
Caro Signor Presidente del Consiglio, sono una insegnante della scuola pubblica, sudicia e terrona, peso morto dell’Aquila e pure donna. Guardi un po’… tutte a me capitano. Certo, sono proprio sfortunata. Mi sono diplomata nella scuola pubblica al liceo Classico di Avezzano, ho preso una laurea in filosofia all’università pubblica la Sapienza di Roma con il massimo dei voti, ho superato concorsi serissimi per insegnare e conseguito tre abilitazioni. Mi aggiorno, leggo e studio e cerco di svolgere al meglio il mio lavoro. Cerco di educare i miei alunni (ex-duco significa condurre fuori ed è l’esatto contrario dell’inculcare che lei ha usato in maniera così improvvida offendendo anni e anni di studi e di pedagogia dell’insegnamento) nella scuola pubblica. Anche se dal Ministero della pubblica istruzione questo aggettivo è scomparso, in questi ultimi anni e si chiama solo Ministero dell’Istruzione, io mi ostino a dire che insegno in una scuola pubblica. Cerco di educare i miei alunni alla tolleranza, alla responsabilità e al confronto, alla cittadinanza, alla legalità, studiando la Costituzione, studiando la nostra storia, il Risorgimento e la lingua italiana. La scuola pubblica è un fronte, dove si combatte ogni giorno una specie di guerra. Dove si ancora il coraggio di dire dei no, di parlare di valori, di fatica, di impegno. Lei non può immaginare cosa ha significato per i nostri ragazzi dell’Aquila tornare a scuola, ricostruire un minimo di quelle relazioni sociali che per il resto non ci sono più. Noi abbiamo ricominciato tutti “come se”: come se non fosse accaduto niente. Studenti e docenti tutti insieme al nostro posto di lavoro, nonostante le difficoltà, le ferite, i disturbi. La notte terribile del terremoto le prime chiamate sono state quelle dei miei studenti. Ho pianto con loro, li ho rassicurati, ho fatto da centralino. Abbiamo ricominciato e andiamo avanti, anche qui. Ogni giorno. Con dignità. Con forza. Nonostante siamo i meno pagati dell’Europa e nonostante il disprezzo che da anni si cerca di gettare sulla scuola pubblica, nonostante il fango con il quale si cerca di ricoprirla, io sono convinta che non esista un mestiere più bello del mio. Lo scriveva Sandro Onofri, qualche anno fa. Sono sicura di interpretare i pensieri di tanti che non hanno nessuna intenzione di inculcare, ma svolgono questo il mestiere di “far apprendere” e apprendono in quella che si chiama “educazione permanente”. Permanente, nel senso che restiamo, nonostante tutto, sempre insegnanti, anche quando andremo (se ci andremo) in pensione.
E voi, cosa ne pensate? Avete già firmato l’appello per Salvare la scuola pubblica? Se non l’avete ancora fatto, cliccate qui.