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NBA Finals: Le pagelle dei Dallas Mavericks

 

nba.com
Diamo i voti ai protagonisti delle Finals NBA 2011, iniziando ovviamente dalla squadra Campione, i Dallas Mavericks.   Ed iniziamo, come sembra più giusto, dal giocatore simbolo dei texani, colui che è anche stato eletto M.V.P. delle finali (poco alla volta seguiranno tutti gli altri): DIRK NOWITZKI, 10: Leader vero di una squadra che per 13 anni è stata un’eterna incompiuta, il momento più importante per lui e per il team avviene nell’Estate scorsa quando decide di rinnovare nuovamente il contratto con i Mavericks piuttosto che cercare la “scorciatoia” (come invece ha fatto qualche altra star della Lega!) di andare ad unirsi ad altri campioni per tentare l’assalto al tanto agognato titolo. Scelta giustistissima perchè con i nuovi innesti (Tyson Chandler su tutti) i texani  diventano una formazione forte e competitiva e, come si è visto in questi playoff, sicuramente la squadra con il gioco più lineare e pulito dell’intera NBA. Ma il condottiero è sempre e solo lui, il tedesco di Wuzburg, splendido atleta di 215 centimetri dalla mano favolosa. Straordinario in gara 2 quando è decisivo nella vittoria a Miami, ancora di più in gara 4 quando con un infortunio al dito e quasi 39 gradi di febbre mette KO gli avversari con una prestazione che si avvicina a quella di Michael Jordan (anche lui con 39 di febbre) nella Finale del 1997 sul campo degli Utah Jazz di Stockton e Malone. Niente e nessuno è riuscito, questa volta, a rovinare il suo sogno, ha tenuto una media di 26,5 punti e 9,5 rimbalzi a partita, segnando nei decisivi quarti periodi ben 62 punti! Manca la lode per via dei primi 2 quarti di gara 6 dove ha tirato male (3 punti con 1/12 dal campo) ma ovviamente  rispolvera il suo talento nel finale con 10 punti (sui 21 totali) che sugellano la vittoria biancoblu. Immenso. JASON TERRY, 9,5: E’ lui l’uomo in più quando Nowitzki non può essere presente, è lui il compagno ideale per supportare il tedesco nei momenti decisivi. La guardia nata a Seattle gioca dei playoff di livello assoluto (da leggenda il record NBA per i playoff di 9/10 dalla lunga distanza in gara 4 contro i Lakers, una prestazione che ha spazzato via gli ex campioni e posto fine “all’Era Phil Jackson” con i gialloviola). Non trema mai, sempre sicuro di sè e dei suoi mezzi. Era uno dei 2 reduci (l’altro era Nowitzki) della Finale del 2006 sempre contro gli Heat (serie che però venne persa da Dallas), il desiderio di vendetta era grande e questo lo ha motivato a tal punto da diventare devastante anche per la coppia James-Wade. JASON KIDD, 9: A 38 anni riesce a reggere in marcatura sia su James che su Wade, nonostante i 2 avversari abbiano rispettivamente 12 e 10 anni di meno, dimostra che non serve l’atletismo per limitare chi dell’atletismo fa la propria arma principale (Derrick Rose dei Chicago Bulls, M.V.P. della regular season, a soli 22 anni nella serie precedente aveva sofferto la coppia degli Heat non riuscendo ad opporsi difensivamente, spazzato via dal vigore fisico dei 2 assi di Miami). Una lezione per tutti, dal grande “Giasone”, con 2 movimenti di piede riesce a sbarrare la strada ed a tamponare le giocate “uno contro uno” dei temibili avversari. Abbina a tutto ciò la solita, grande vena di playmaker (un vero piacere guardare la circolazione di palla dei Mavs) e nel momento di piazzare il tiro da oltre l’arco è una sentenza. Titolo stra-meritato anche per lui. J.J. BAREA, 8,5: Prende il posto in quintetto dopo gara 3 con i Mavericks sotto 2-1 nella serie, diventa così importante che non lascia più il posto da titolare ed i texani vincono tutte le altre 3 partite consecutive. La variabile impazzita della serie, un portoricano di soli 175 centimetri che si diverte a fare il bello e cattivo tempo a suo piacimento, quasi non si crede ai propri occhi quando lo si vede sgusciare via nell’area intasata ed affollata da bestioni di 210 centimetri per appoggiare il tiro al canestro, sembra quasi un prestigiatore che fa sparire il pallone e lo fa riapparire nel canestro quando ormai è troppo tardi per fermarlo. Abbina a queste qualità un favoloso tiro da 3 punti che lo rende in pratica indecifrabile per la difesa avversaria. Diventa in definitiva una pedina irrinunciabile nello scacchiere di coach Rick Carlisle. TYSON CHANDLER, 8: Fantastica la storia di questo centro di quasi 2 metri e 20, perchè negli ultimi 3 anni la sfortuna si era abbattuta su di lui e sulle sue caviglie. Dopo essere esploso a New Orleans con Paul e West, gli infortuni convinsero la dirigenza a sbarazzarsi di lui in uno scambio con i neonati Thunder quasi per nulla, ma Oklahoma City dopo le visite mediche lo rispedì al mittente dicendo che non era integro e la sua carriera a forte rischio. Alla fine dell’anno lo presero i Bobcats in uno scambio con Okafor ma a Charlotte non entusiasmò e così dopo solo un anno venne in pratica regalato a Dallas. Qui risorge e in questa prima stagione diventa uno dei centri più affidabili della Lega, presenza intimidatrice in difesa, ottimo rimbalzista in attacco con licenza di schiacciare a piacimento sugli assist di Kidd. La sua favolosa annata si denota dal fatto che nelle ultime 3 partite delle Finals annulla il rivale Chris Bosh in tutti i secondi tempi (dopo che lo stesso Bosh aveva deciso gara 3 con un jumper per il provvisorio vantaggio di 2 ad 1 per Miami nella serie). Copre nel migliore dei modi l’unica lacuna che i Mavs hanno avuto per tutti questi anni, ovvero il ruolo di centro, diventando così essenziale. SHAWN MARION, 7,5: Quando dopo le prime partite di regular season si è infortunato Caron Butler, ala piccola titolare, nessuno poteva immaginare l’importanza che avrebbe avuto Marion in questa stagione. Invece l’ex giocatore di Phoenix, Toronto, e Miami, dato per molti come per finito, si trasforma improvvisamente e diventa parte irrinunciabile del sistema di gioco di Carlisle. In molti dicevano negli anni passati che solo Mike D’Antoni ai Suns era riuscito a renderlo un vero fenomeno, ora si sa che non è così perchè le qualità ci sono, bastava solo avere fiducia in lui, ripaga Dallas nel migliore dei modi possibili con grandi giocate difensive sia su Wade che su James ed in attacco è semplice ed efficace chiudendo con una media punti di 13 a partita. DESHAWN STEVENSON, 7: Da tempo va ripetendo che LeBron James è un giocatore sopravvalutato, oggi gli si deve dare ragione. Le ruggini risalgono a quando era un punto fermo dei Washington Wizards e puntualmente la sua squadra veniva eliminata dai Cleveland Cavaliers del “Prescelto” nei playoff della Eastern Conference. Compie anche lui la sua vendetta nel modo e nel momento migliore possibile, anonimo nelle prime 3 partite quando da titolare non riesce ad opporsi agli avversari, uomo di sostanza quando viene spostato in panchina per far spazio a Barea dopo gara 3. Preciso dalla lunga distanza, da quel momento in poi svolge il suo compito nel migliore dei modi, forse perchè (merito di coach Carlisle) partendo come sostituto svanisce come per magia tutta la pressione che gravava sulle sue spalle. Anche lui diventa un prezioso tassello per il completamento del puzzle. Menzione d’onore a Brian Cardinal, che di talento ne ha ben poco, ma si dimostra un fido gregario quando viene chiamato in causa, soprattutto in difesa dove si può notare la sua durezza ed a farne le spese è Wade che nel primo quarto di gara 5 rimedia un infortunio all’anca che deciderà in negativo le sorti degli Heat. Voto 6,5. Coach RICK CARLISLE, 10: Capolavoro tecnico-tattico-psicologico per questo allenatore che a prima vista potrebbe essere più famoso per la somiglianza con l’attore Jim Carrey che per altre qualità. Nella sua carriera ha dimostrato di poter diventare uno dei migliori ma non è mai stato apprezzato a pieno, in Texas ha trovato la sua dimensione costruendo una squadra splendida nel suo modo di giocare la pallacanestro. Ma il suo genio esce fuori quando capisce che apportando qualche aggiustamento alla difesa (nonostante gli interpreti non siano più ragazzini per l’età) può mandare in confusione Miami. E così avviene, ridicolizza nelle scelte in ogni singolo istante e momento il suo collega Spoelstra, tiene in pugno la serie permettendo psicologicamente ai suoi ragazzi di esprimersi al meglio ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti dato che i suoi giocatori nell’ultimo quarto spesso e volentieri annichiliscono gli Heat con super rimonte. Anche per lui vale il discorso fatto per tutti gli altri, il titolo è ampiamente meritato. Gli auguriamo che sia il primo di una lunga serie, così la sua incredibile somiglianza con Jim Carrey passerà sicuramente in secondo piano. LEGGI LE PAGELLE DEI MIAMI HEAT

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