La partita di ieri del Milan al Lecce è stata il più grande spot all’imprevedibilità del calcio, a quella incredibile follia che porta una squadra prima a dar l’immagine peggiore di se stessa e poi una incredibile voglia di reazione e riscatto. I rossoneri hanno finalmente capito l’adrenalina di quella notte stregata che costò la Champions League contro il Liverpool. A differenza di una finale di Champions o di una partita di cartello la partita del Via del Mare contro un modesto Lecce però oltre alla gioia della vittoria deve per forza di cose lasciare qualche spunto di critica, un segnale di un evidente imbarazzo in difesa e a centrocampo. Il Milan forse vincerà anche in questa stagione lo scudetto ma lo farà “di forza e non di classe” contravvenendo al diktat presidenziale che da sempre fa il marchio di fabbrica del diavolo rossonero. Il cammino di Allegri in rossonero è stato contraddistinto sin dal suo avvio da una predilezione della fisicità a discapito della qualità, Pirlo nella scorsa stagione ne è stato l’esempio concreto e nelle scelte iniziali di ieri a Lecce si è ancora palesato. Un centrocampo con Ambrosini, Van Bommel e Nocerino è lo specchio ideale di chi vuol vincere attraverso le giocate di Ibra e Cassano o la giornata illuminata di Robinho. Ricordo i lunghi faccia a faccia tra Ancelotti e Berlusconi per il modulo ad una o due punte con il tecnico che comunque cercava di far coesistere Kaka, Rui Costa, Pirlo e Seedorf alle spalle di una punta puntando alla vittoria attraverso il controllo totale del gioco e del possesso palla. In assenza di Seedorf la rinuncia anche ad Aquilani e Boateng è difficile da spiegare sopratutto allo stato di forma attuale dei due.