Se c’è una ricetta per il successo in questa Juventus griffata Antonio Conte, senza dubbio è lo spirito di gruppo: ormai è risaputo, ma ogni volta sembra esserci un’ulteriore dimostrazione di questa unità di intenti, di questa voglia di porsi a disposizione della squadra per il bene comune, per portare un valore aggiunto al collettivo, e non per vane glorie personali. Il mantra dell’importanza del gruppo rispetto ai singoli è una certezza inossidabile, costruita giorno per giorno, alimentata dai risultati ottenuti, coltivata con la cura dei dettagli, maniacale. In un tale clima di perfetta armonia, però, sembrava stridere la presenza di un calciatore poco amato dal pubblico, poco “produttivo” in campo, deludente nelle prestazioni al punto da apparire quasi come un corpo estraneo: Marco Borriello, giunto nel mercato di Gennaio, per quasi cinque mesi ha rappresentato un “neo” nell’orchestra bianconera, a partire già dalla freddissima accoglienza (per usare un eufemismo) che i tifosi gli hanno tributato nella gara con il Lecce, al rientro dalla sosta natalizia, l’8 Gennaio, in cui uno striscione lo definiva pressapoco un “mercenario”.
L’ostilità affondava le sue origini dal “gran rifiuto” di Borriello, lo scorso anno, quando preferì la maglia della Roma a quella Juventina, uno sgarbo mai digerito dai tifosi bianconeri che, pertanto, non hanno accolto di buon grado la notizia del suo arrivo del mercato di riparazione: nel calcio, però, spesso si ha la memoria corta ed ogni vecchia ruggine può essere smaltita a suon di gol, capaci di cancellare ogni precedente dissapore. Nel caso di Borriello, però, tutto questo non è avvenuto, perchè – per lunghi mesi – la sua condizione approssimativa ed il suo stato di forma non eccellente gli hanno impedito di essere protagonista in campo, alternando prestazioni mediocri e scampoli di partita disputati entrando dalla panchina, facendo storcere spesso il naso a chi lo vedeva entrare in campo, “rubando la scena” all’uomo più amato dal popolo bianconero, ossia Alessandro Del Piero.
In molti non riuscivano a capire cosa inducesse un tecnico tanto pragmatico come Antonio Conte ad ostinarsi nel concedere fiducia ad un attaccante in apparenza spento ed appannato, nei movimenti e nel “vedere la porta”; una circostanza misteriosa che, a dieci minuti dalla fine nell’ostica gara con il Cesena, si svela improvvisamente, con un gran sinistro di controbalzo, dai molteplici significati: il gol dell’ 1 a 0 per la Juventus, il gol che consente di vincere la partita mantenendo il vantaggio sul Milan di tre punti a quattro giornate dalla fine, il gol che consente a Borriello di correre in direzione di Antonio Conte, per abbracciarlo e dirgli “grazie”, un gol che contente a Marco – nel giorno di San Marco – di riscattare tante prestazioni grigie e divenire nuovamente protagonista in campo, dopo 11 mesi di digiuno.
Nel post partita Marco Borriello rivelerà di aver avuto, prima di entrare in campo dalla panchina, il sentore che avrebbe segnato, come mai gli succede, al punto da dirlo anche ai compagni seduti vicino a lui. Un sentore che gli ha portato bene, e che dà ragione a chi – a dispetto di tutti – gli ha voluto dare fiducia, credendo nel suo riscatto e nelle sue qualità, calcistiche ed umane: ecco perchè mister Conte afferma, con grande sincerità, di “esser felice più per l’uomo che per il calciatore”, lodando l’umiltà e lo spirito di sacrificio di Marco Borriello. Ecco perchè, nonostante la “gloria personale”, l’attaccante afferma che “non si può ancora festeggiare“, dimostrando di aver recepito alla perfezione lo spirito made in Conte, omaggiando, poi, con la dedica del suo gol, Andrea Fortunato il giovane calciatore bianconero scomparso 17 anni fa.
Per Marco Borriello, dunque, il presente si può tingere di tinte più rosee, come il colore della maglia indossata ieri, nella speranza che – con le sue prestazioni da qui al termine del campionato – possa indurre la società a riscattare il suo prestito: a suon di gol decisivi, la “mission” può non essere impossible.