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Alberto Donatelli: “Arcobaleno di profilo”. La recensione

Qualche giorno fa è uscito il quarto album del rocker italiano Alberto Donatelli, cantautore e chitarrista nato a Roma, dal titolo “Arcobaleno di profilo“. La scelta del nome del disco risale ad una citazione dell’architetto Bruno Munari, la cui filosofia principale recita le seguenti parole: ” … ho cercato di comunicare quello che gli altri non vedono, ad esempio un arcobaleno di profilo“.

Il disco, che dura 51 minuti e che vede la produzione di Massimo Coppola e la supervisione artistica di Duccio Grizi, si snoda attraverso 13 tracce (compresa la prima traccia, la strumentale ed introduttiva “Rock on!“, segue le tracce di un rock moderno abbastanza piacevole all’ascolto, anche se ogni tanto la musica incespica nelle necessità della lingua italiana ed il risultato non è dei migliori.

Dopo la prima traccia strumentale ci accoglie il primo brano “Dire la verità“, una delle tracce migliori del disco sia per il testo che per la musica, che ricorda i primi Negrita e il primo Ligabue. Con la terza traccia, “Piove odio“, si vira verso un rock più intimista ma il testo forse troppo complesso penalizza la canzone.

Appena ho ascoltato il quarto brano, “Non avevo bisogno“, ho avuto la netta sensazione di ascoltare un nuovo singolo di Ligabue. Drumming deciso, chitarre dure, voce quasi roca… tutto alla perfezione. Peccato che il pezzo successivo, “Siccome sei“, scivoli via senza nessun sussulto. Ma basta sentire il pezzo dopo, “Quello che mi pare“, e il suo drumming di basso e batteria ti rimettono in pace con il disco.

Alberto Donatelli - "Arcobaleno di profilo" - Artwork

Bisogna aspettare il giro di boa del disco per trovare il primo pezzo “lento” del disco, “Claudia“, che ricorda molto “Piccola stella senza cielo”. Il pezzo successivo, “Ti hanno detto (oh yeah)” è un attacco allo star system e ricorda da vicino alcune canzoni di un cantante moderno molto ironico, il Dero.

Dopo il bel pezzo di denuncia “Sangue“, molto azzeccato e che rimane in testa, il disco subisce ahimè un repentino e inaspettato crollo: gli ultimi pezzi “Un altro emisfero” e “E’ tutto qui” non brillano in nessun modo, mentre “Credo che”  cerca di salvare il salvabile. Purtroppo l’ultimo brano, “8 stagioni (gun version)” è il colpo di grazia: il riff paga troppo dazio nei confronti della musica italiana alla Ligabue e il brano purtroppo non spicca per originalità e per contenuti.

Il disco di Alberto Donatelli, per quanto sia piacevole all’ascolto e mostri alcuni pezzi davvero interessanti, purtroppo manca in moltissimi punti di originalità: quella che potrebbe essere un punto di forza, ovvero il seguire uno stile e un canovaccio musicale fertile che in Italia colpisce sempre, diventa invece la dannazione del disco stesso, che lascia in bocca all’ascoltatore il brutto sapore del “già sentito”.
Davvero un peccato, vista la voce originale del cantante e alcune canzoni (su tutte “Claudia” e l’apripista “Dire la verità“, insieme al bel pezzo di denuncia “Sangue“) che meritano davvero un ascolto.
Alla quarta prova Alberto Donatelli non esce certo bocciato, ma rimandato a Settembre sicuramente.

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