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American Horror Story 6×1: la recensione

In anticipo rispetto agli altri anni, “American Horror Story” riparte con la sesta stagione ma stavolta Ryan Murphy è stato più scaltro ed è riuscito a non svelare il tema della stagione fino al debutto televisivo.

Da qui in poi parleremo dell’episodio cercando di svelare il meno possibile, però siete stati avvisati dei possibili spoiler, da questo momento non vogliamo nessuna responsabilità!

American Horror Story 6, un nuovo schema narrativo

Ryan Murphy aveva promesso novità ed è stato di parola. Nelle ultime settimane ha fatto crescere la suspense rilasciando teaser sulla sesta stagione della serie che però affrontavano tematiche tutte diverse tra loro. Sostanzialmente si è preso gioco dei fan in trepidante attesa, riuscendo a non far trapelare nulla sulla trama, contrariamente a quanto accaduto nelle precedenti stagioni. Quello che invece è accaduto esattamente come ogni anno, è un primo episodio promettente. Negli USA hanno già elogiato la scelta narrativa dei creatori di “American Horror Story”, che hanno ribaltato gli schemi già noti al pubblico che li segue dai tempi di “Murder House“, pur avvalendosi – come sempre – dei numerosi cliché offerti dal cinema di genere e ormai da tempo consolidati.

via GIPHY

Tornano nel cast i volti noti delle stagioni precedenti, la storia si apre con Lily Rabe e Andre Holland, rispettivamente nei panni di Shelby e Matt. In questo primo episodio l’ansia e la confusione non mancano, c’è molto buio e quest’ultimo, su tutti, nonostante sia stato usato e abusato nel genere horror, riesce sempre a funzionare e a far riemergere tutte le paure di chi osserva. Come abbiamo già detto, Ryan Murphy si avvale sempre di cliché del genere, basando le sue storie su leggende metropolitane o fatti realmente accaduti, come annuncia all’apertura di questo nuovo episodio. Il tema è stato svelato: abbiamo una coppia che si trasferisce in campagna, ma nella nuova casa succedono cose molto strane. Roba già vista, anzi, è così che la serie ha avuto inizio, ma di mezzo qui ci sono i redneck e altre strane creature, come un uomo con la testa di maiale, che potrebbe riprendere anch’esso la prima stagione (o essere un omaggio al famigerato “signore delle mosche” letterario, chi lo sa). L’impostazione è totalmente diversa rispetto alle stagioni passate, si rifà ai documentari sul crimine tanto in voga, quindi a Rabe e Holland sono i personaggi che realmente hanno vissuto la storia narrata, nella fiction impersonati da Sarah Paulson e Cuba Gooding Jr..

Fa la sua comparsa Angela Bassett, ormai garanzia della serie fin dal suo ingresso nella terza stagione, “Coven“. Intravediamo per pochissimo Kathy Bates e Wes Bentley, forse Denis O’Hare, tutti volti che ci fanno sentire un po’ a casa ma l’atmosfera non è delle più confortevoli. Strane presenze si aggirano attorno alla casa – inquietante in partenza, senza “infestazioni” – e strani rituali sono in corso, tutto da capire negli episodi successivi. Incrociamo le dita nella speranza che, come accaduto in precedenza, la sesta stagione non si perda dalla seconda metà in poi ma pare che i creatori abbiano voluto ripristinare il tenore che ha contraddistinto almeno le prime due stagioni.

Arrivati a questo punto possiamo anche parlare dell’incubo di Roanoke (“My Roanoke nightmare“), il tema di questa sesta stagione. Basta fare una breve ricerca per scoprire che si tratta di una colonia britannica fondata sul finire del 1500, la seconda colonia dell’America del Nord. Quei personaggi cupi con forconi e torce fanno molto “American Gothic” (il quadro) e ben si adattano all’epoca coloniale, inquietante anche senza metterci troppa fantasia. La colonia perduta di Roanoke non fu mai trovata, non ve ne fu traccia e non si conobbe mai il suo destino. C’è chi sostiene che gli abitanti morirono di fame, altri che fuggirono via, c’è chi dice che si mescolarono agli indigeni o che siano stati sterminati dai nativi americani, ma la verità non è mai venuta a galla. La confusione, a fine episodio e come sempre con “American Horror Story“, regna sovrana. Il punto di vista è diverso dal solito, c’è il tocco documentaristico ma è proprio nella versione riprodotta che lo spettatore si perde, si immedesima e si lascia trascinare dalle paure dei protagonisti, accompagnandole alle proprie. Quello della colonia di Roanoke, fondata da Sir Walter Raleigh, rimane uno dei più grandi misteri irrisolti della storia americana (o meglio, pre-americana), mescolato con gli ingredienti giusti potrebbe essere la base di un prodotto vincente.

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