“American Horror Story” è tornata, un po’ prima del solito, ma è tornata. Parliamo del primo episodio di questa settima stagione che, come aveva premesso Ryan Murphy, trae ispirazione dalle elezioni americane.
Da qui in avanti ci sono spoiler sul primo episodio, perciò se non lo avete visto e non volete rovinarvi la sorpresa, non dite che non vi avevamo avvisati.
Il primo episodio si intitola “Election Night” e inizia con le immagini di Donald Trump e Hillary Clinton che ufficializzano la loro candidatura. Com’è andata a finire lo sappiamo tutti e sappiamo anche che non è stato un momento di giubilo per buona parte degli Stati Uniti, ma nemmeno per buona parte del resto del mondo. Ryan Murphy e Brad Falchuck lasciano spazio a entrambe le fazioni. La prima è rappresentata da Ally (Sarah Paulson) e la sua compagna Ivy (Alison Pill), le due sono sposate e hanno un figlio, Oz. Ally è particolarmente sconvolta per la sconfitta della Clinton e urla e piange disperata davanti alla tv, nello stesso esatto momento in cui crollano le sue certezze sulle elezioni, tornano a galla vecchie paure. Il figlio Oz sta leggendo un fumetto su Twisty il Clown (che abbiamo conosciuto in “Freak Show“) e Ally scappa terrorizzata. Da quel momento perde il controllo e non è più in grado di tenere a bada le fobie che non la tormentavano più da tempo. Al supermercato la vediamo lanciare bottiglie di vino rosé addosso a inquietanti clown che la inseguono, due dei quali intenti ad accoppiarsi sulle cassette di verdura. La controparte, che gioisce per l’elezione di Donald Trump, è Kai (Evan Peters): faccia da squilibrato, razzista, capelli tinti di blu e protagonista di una scena assurda in pieno stile “American Horror Story“. Frulla dei Cheetos, patatine al formaggio arancioni, e poi se le spalma in faccia per imitare il nuovo Presidente in carica. Poi va a parlare con la sorella Winter (Billie Lourd), autolesionista e sostenitrice di Hillary, che le due cose vadano di pari passo in quel contesto? Winter è una ragazza altrettanto inquietante e il suo destino si incrocia con quello di Ally e Ivy, coppia in crisi in cerca di una babysitter. Intanto Ally non è l’unica a vedere i clown, perché appaiono anche al figlio Oz.
Come dice lo stesso Evan Peters/Kai nel suo discorso di fronte alla giuria del consiglio cittadino, la paura è la cosa che piace di più agli esseri umani. Ed è la cosa che ci governa più di ogni altra. L’elezione di Donald Trump (e non serve Murphy a spiegarcelo) ha fatto leva sugli istinti più bassi della popolazione, per questo è riuscito a vincere pur risultando il personaggio da quel tipo di incarico. Abbiamo paura ogni giorno e di tutto: di farci del male, che ci vada il latte di traverso, che nostro figlio si sbucci un ginocchio o che qualcuno ce lo porti via, che la macchina non si accenda, abbiamo paura del futuro, delle malattie, di perdere le chiavi, dell’ignoto. Su questi presupposti Murphy e Falchuck costruiscono “Cult“, e concentrano tutte le fobie possibili in Ally. Forse non vi è mai capitato di sentire parlare di tripofobia o di provarla: si tratta della paura dei buchi e da quando capirete cosa si prova, guardando il volto terrorizzato di Sarah Paulson, forse anche voi inizierete a non sentirvi a vostro agio. E infatti è questo che funziona di “American Horror Story“, non sentirsi mai a proprio agio e cercare di capire dove stia andando a parare.
Conoscendo le stagioni precedenti, c’è il rischio che a metà stagione tutto si perda o si dissolva, per il momento le premesse non sono troppo entusiasmanti ma nemmeno deludenti. Dopo “Roanoke” (per non parlare di “Hotel“) meglio andarci cauti e non spingerci troppo oltre con i giudizi. Certo, anche solo l’esultanza di Kai e la chiusura dell’episodio meritano la visione. Gli elementi per fare funzionare “Cult” ci sono tutti, c’è molta satira, la serie inoltre non è incentrata solo sulle elezioni americane del 2016 ma le usa come spunto per analizzare i comportamenti di persone provenienti da diversi schieramenti e diversi stili di vita. Tornano i titoli di testa, dei quali avevamo sentito la mancanza, e tra le varie cose inquietanti che appaiono in sequenza c’è anche una bara: claustrofobia o il luogo in cui giace la democrazia dall’8 novembre di un anno fa? In ogni caso, fa rabbrividire.