Non è passato ancora un anno da quel maledetto 23 luglio, giorno in cui il mondo intero ha pianto lo spegnersi dell’ultima regina del soul: Amy Winehouse. Eppure in questi giorni in libreria è uscito “Amy, mia figlia” (Ed. Bompiani-Overlook, 350 pagg, 17,50 euro), il libro in cui il padre della cantante, Mitch Winehouse, racconta dal suo punto di vista, quello di un genitore innamorato della sua bambina, la vita della prodigiosa e sfortunata diva.
Mitch Winehouse ha le idee chiare sulla causa della fine di Amy: la colpa è tutta di Blake Fielder-Civil, l’uomo che la cantante conobbe nel 2005, sposò nel 2007 e dal quale divorziò due anni dopo, quando lui era in carcere per aggressione. Secondo il signor Winehouse, fu proprio lui ad iniziarla al mondo delle droghe pesanti.
Era chiaro che si trattava di una dipendenza – lui controllava da vicino il suo consumo di droghe, decideva le dosi, ne amministrava l’assunzione; agli occhi di Amy era diventato un eroe. Era una dipendenza reciproca: lui dipendeva da lei, che pagava i suoi vizi, lei era dipendente da lui, che aveva sempre la dose pronta.
Addirittura, pare che Blake Fielder-Civil riuscisse a controllare la vita di Amy Winehouse anche dal carcere.
Dal carcere Blake muoveva tutti gli spacciatori che rifornivano Amy. Un giorno Amy era in riabilitazione. Un amico di Blake arrivò con un mazzo di fiori. Dentro c’era della cocaina.
Eppure, stando a quanto riportato nel libro, Amy Winehouse aveva chiuso con le droghe da almeno 3 anni. La cantante, dunque, non sarebbe morta per overdose, come all’epoca dissero tutti.
Falso, Amy aveva chiuso con l’eroina da tre anni. Non cominciò subito a bere. Per un periodo rimase pulita, frequentava una palestra, mangiava regolarmente, era determinata a rimettersi in forma. Capii che ne era fuori quando cominciò a comprarsi vestiti alla moda, a prendersi cura del suo aspetto. Non sono così ingenuo, quando mi resi conto di quanto beveva, mi dissi: “Ci risiamo!”. Nessuno l’avrebbe mai vista ridotta in quello stato se avesse continuato con l’eroina, ci sono rocker che ne fanno uso da quarant’anni e sono sopravvissuti. Il suo errore fu credere di poter dare un taglio all’alcol come aveva fatto con l’eroina, questo l’ha uccisa.
Quello che viene fuori dalle pagine del libro è quindi il ritratto di una ragazza straordinaria, allegra e generosa, anche nei periodi in cui era malata. Sono note a tutti, infatti, le spese folli che Amy Winehouse sosteneva senza problemi per i suoi amici, nonché per la beneficenza. Proprio per questo, Mitch Winehouse ha creato la “Amy Winehouse Foundation”, un’associazione caritatevole a favore dei bambini disagiati: anche i proventi della vendita del libro andranno alla fondazione.
Era una donna fortissima, diversamente non sarebbe riuscita a convivere con il suo inferno e alla fine a venirne fuori. Ma ognuno ha le sue debolezze, anche Superman. Era una donna forte, determinata e scrupolosa – purtroppo devota al culto di Blake allo stesso modo in cui era devota ai fan e alla famiglia. Il fatto che negli ultimi anni le riuscisse penoso cantare le canzoni di Back to black dimostra che stava prendendo le distanze da quelle situazioni come le aveva prese dalle droghe pesanti. Era arrivata a un punto in cui preferiva cantare uno standard o le canzoni di Frank, il disco d’esordio, piuttosto che You know I’m no good.
Peccato, dunque, che abbia ceduto proprio quando stava per farcela.