“Baby” è la nuova chiacchierata serie di Netflix, una produzione tutta italiana che ha debuttato sulla piattaforma lo scorso 30 novembre.
La trama si ispira allo scandalo delle baby squillo dei Parioli ma, nonostante il timore di molti, non si occupa di rendere “glamour” la prostituzione minorile. Diciamolo pure, senza il timore di fare spoiler: se ne parla poco e niente. La storia di “Baby” ruota attorno a tre personaggi principali e cerca di raccontare la vita degli adolescenti dei Parioli e del mondo che ruota attorno a loro. Che siano ricchi o meno, gli adolescenti sono accomunati da diverse problematiche, dalle insicurezze al bullismo fino all’influenza dei problemi familiari, come la separazione dei genitori. Nulla che non si sia visto in tutti questi anni, da serie come “Pretty Little Liars” a Gossip Girl” passando anche per “Tredici“.
Stereotipo è la parola d’ordine
Il collettivo dei GRAMS* ha, sostanzialmente, raccolto tutti gli stereotipi sul mondo adolescenziale e li ha buttati nel calderone, senza però costruire una storia che risulti del tutto coerente. I dialoghi sono molto poveri, brevi e spesso interrotti bruscamente (come accade in “Tredici”), gli smartphone rimangono l’essenza della comunicazione mentre i genitori sono creature inesistenti, al limite del mitologico. Presi dai loro impegni e dai loro ego, ignorano le vite segrete dei loro figli, che escono di casa a qualsiasi ora, spacciano cocaina, frequentano gente poco raccomandabile, senza mai preoccuparsi di indagare troppo sugli spostamenti. Anzi, li favoriscono, regalando loro le famose “macchinette” per farsi perdonare gli errori senza stare a pensarci troppo. Parioli o non Parioli, gli stereotipi abbondano, a partire dai personaggi principali: Chiara (Benedetta Porcaroli), Ludovica (Alice Pagani) e Damiano (Riccardo Mandolini). La prima è la classica “pariolina” che decide di ribellarsi a una situazione che le sta stretta, travolta dagli eventi si lascia tentare dal fascino di Ludovica. Quest’ultima (vista in “Loro” di Sorrentino) rappresenta la ribelle di turno, quella che non ha paura di osare e se ne frega del giudizio altrui, ma che nasconde una forte fragilità che la porta verso l’autodistruzione ma la cela saltellando e ridendo a caso. Per non parlare di Damiano, che dalla borgata arriva nella zona bene di Roma e non viene visto di buon occhio, quello che per via del suo passato diventa facile capro espiatorio. Il Dan Humphrey di “Gossip Girl” che da Brooklyn arriva a Manhattan, che però arriva dalla borgata romana con qualche bustina di droga in tasca. Abbiamo Isabella Ferrari nei panni della mamma isterica che si fa prendere in giro dal compagno di turno e che alza la voce senza alcun motivo, totalmente scollegata dal suo personaggio. Claudia Pandolfi è un’insegnante frustrata, in particolar modo per via del suo matrimonio, distratta da un’affascinante studente; ma già ai tempi della torbida relazione tra Pacey e la signora Jacobs in “Dawson’s Creek” una storia alunno-insegnante scadeva nel cliché. Per non parlare, poi, del ragazzo che deve vivere la propria omosessualità di nascosto e teme di rivelarla al padre. Da un momento all’altro i rapporti cambiano e non si capisce come e il perché di alcune reazioni, totalmente dissociate dalle azioni che le hanno precedute.
I tempi sono gestiti male, non riescono ad offrire una linea narrativa coerente e molte cose risultano confuse e inspiegabili, al di là dell’evidente proposito di realizzare una seconda stagione (non ancora confermata). Se dici teen drama di certo non ti aspetti in cambio un prodotto di qualità eccelsa ma “Baby” è un tentativo fallito di emulare i numerosi prodotti americani e il più recente (e spagnolo) “Elite”, per rimanere in casa Netflix. Com’è già avvenuto in passato, troppi dettagli sono lasciati al caso, rendendo meno credibile il contesto in cui si svolgono i fatti, talvolta troppo assurdo perfino con uno sfondo come quello dei Parioli. Nella realtà di certo non mancheranno genitori troppo presi da se stessi, tradimenti, sex tape, alcol e pasticche, questo ce lo raccontano le cronache, ma la sceneggiatura fa perdere stabilità e credibilità alla storia in molti punti. A questo si aggiunge il fatto che la trama decolla in ritardo, i personaggi sembrano essersi riscaldati finalmente solo sul finire degli episodi, quando tutto si chiude con le dovute domande da lasciare in sospeso. Il cast, fatte poche eccezioni, non eccelle. “Baby“, quindi, va preso come un teen drama senza pretese, senza andare alla ricerca di profondità e grandi messaggi, proprio come accade per altre produzioni. Ancora una volta, purtroppo, l’intento dichiarato è quello di voler raccontare i giovani e il loro disagio incompreso, ottenendo il risultato opposto.