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Band of Horses: “Why are you ok”. La recensione

Sono passati ormai dieci anni da quando il gruppo statunitense Band of Horses, precedentemente noto come Horses, si fecero conoscere dal grande pubblico con un pezzo come “The Funeral“. Da allora la formazione un indie rock (formatosi nel 2004 a Seattle) ha passato alterne fortune e quattro anni fa deluse molti ascoltatori con “Mirage Rock”. E’ comprensibile quindi che a distanza di quattro anni siano tutti un po’ tesi per l’esordio di “Why are you ok“, il quinto disco in studio dei BOH.

Partiamo col dire che ad oggi la band è formata da Ben Bridwell (voce), Creighton Barrett (batteria), Ryan Monroe (tastiere), Tyler Ramsey (chitarre), Bill Reynolds (basso) e Blake Mills (chitarra): ad oggi perchè il gruppo ha subito molte rivoluzioni nel corso della sua giovane storia cambiando formazione almeno quattro volte e questo ha portato turbolenza sia nel gruppo che sui dischi. Per questo motivo per questo nuovo lavoro la formazione guidata da Ben Bridwell ha deciso di affidarsi come produttore a Jason Lytle della band Grandaddy, uno dei nomi più noti dell’indie rock degli anni 2000, quasi per ripulire la propria coscienza musicale da qualche peccato e incidente di percorso.

In seconda battuta, c’è da dire che la mano di Lytle si sente eccome. Anzi, ad essere precisi si sente il contrasto del suo sound con la scrittura di Bridwell e di questa tensione creativa ne giova tutto il disco che non risulta mai banale o “pop” nel senso stretto del termine, anzi. Basta la prima traccia “Dull Times / The Moon” per capire come andranno le cose: un rock molto arioso alla Archives, quasi angelico, seguito da un momento di lo-fi sporco e cattivo ma assolutamente intrigante.

I Band of Horses sono famosi per essere un gruppo che ama, oltre l’indie rock, anche il southern rock, e canzoni come “Solemn Oath“, “Country Teen“, “Throw My Mess” e “Hag” ne sono la piena dimostrazione: in questo caso però si avverte la contaminazione con l’indie ma la cosa non dispiace, anzi, impreziosisce i brani e li rende molto particolari.

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Band of Horses – Why are you ok – Artwork

Casual Party” ci porta in un’atmosfera quasi da festa, grazie al suo sporco da college party e che richiama alla mente “1979” degli Smashing Pumpkins, ma subito dopo siamo trasportati altrove, in alto, grazie al rock molto sospeso e particolare di “In A Drawer“, canzone scelta come secondo singolo e che onestamente colpisce l’ascoltatore per la sua struttura e la sua musicalità.

Dopo il passaggio musicale lo-fi di “Hold On Gimme A Sec” ci aspetta “Lying Under Oak“, un classico rock quasi anni ’70 con chitarre molto pulite, batteria semplice e linea di basso molto efficace, il tutto sporcato sonoramente per rendere la canzone più di effetto.  La dolcezza di “Whatever, Wherever” ci accoglie e ci lascia quasi basiti: non ci sono chitarre rock, effetti pesanti, parti sperimentali in questo brano, solo puro e semplice rock, e dei migliori. Il disco si conclude con “Barrel House” e “Even Still“, due canzoni che si prendono tutto il tempo che si devono prendere per farsi ascoltare e catturarci nel loro mondo musicale (soprattutto la seconda, un piccolo gioiello musicale).

Sono passati sei anni da quando i Band of Horses sfiorarono il Grammy con “Infinite Arms”, anni in cui il gruppo americano si è un pochino perso per strada: serviva una brusca sterzata per riportare Bridwell e soci nel loro abituale terreno di caccia e a questo ci ha pensato Lytle, ripiazzando la band nei loro confini musicali abituali, ovvero l’indie rock, senza che i sei ragazzi di Seattle escano distorti o schiacciati dal confronto con il loro passato. Come detto prima, nel disco si avverte la tensione creativa tra la voglia di epicità di Bridwell e il basso profilo di Lytle e questo contrasto porta i BOH a riscoprire se stessi e le radici del rock tradizionale americano, mettendo da parte la voglia di sfondare nel circuito mainstream che tanti danni ha fatto al sound di questa formazione. “Why are you ok” è un disco intimista e nostalgico, una collezione di brani da ascoltare al tramonto su una spiaggia bevendo una birra e guardando calare il sole: è un ritorno al passato che mostra una maturità ormai completa e che soddisferà assolutamente i fans. È un disco da ascoltare.

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