“Non siamo soli”, ormai è chiaro e il pericolo alieno è sempre dietro l’angolo, o dietro l’onda come nel caso del kolossal “Battleship”, diretto da Peter Berg (“Hancock”) e interpretato da Taylor Kitsch (“John Carter”), Alexander Skarsgård (“Melancholia”), Rihanna (al debutto cinematografico), Brooklyn Decker (“Mia moglie per finta”), Tadanobu Asano (“Ronin”, “Thor”), Liam Neeson (“La furia dei titani”), Hamish Linklater (“I fantastici quattro”) e Gregory D. Gadson (Colonnello dell’Esercito degli Stati Uniti che ha perso entrambe le guerre in Iraq).
Il film
Un gruppo di scienziati americani scopre l’esistenza del pianeta G, con caratteristiche atmosferiche simili alla terra e per questo abitabile. Invieranno un segnale da una postazione nelle Hawaii rimanendo in attesa di una risposta e di un possibile “contatto”. Gli alieni non si faranno desiderare e, durante una maestosa esercitazione della Maria Militare nel Pacifico, diventeranno gli ospiti a sorpresa, indesiderati ma soprattutto agguerriti. Lo sbarco marino, con qualche danno collaterale (vedi palle infuocate che imperversano per le strade di Hong Kong), è solo l’inizio di un piano che prevede una invasione totale della terra. Sarà Alex Hopper, marine alla guida dell’unica nave superstite, a fronteggiare i pericolosi invasori, in una fantascientifica battaglia navale senza esclusione di colpi.
Giudizio sul film
Una delle ossessioni più ricorrenti è quella di convincere e convincersi che non siamo realmente soli nell’Universo. Effettivamente, se un pianeta dovesse mostrare condizioni simile alle nostre la presenza di vita extraterrestre non potrebbe essere esclusa a priori. Difficile quanto trovare il punto G? Probabilmente, come G è anche il nome assegnato al corpo celeste scoperto dagli scienziati americani. Il cinema si nutre – ormai abitualmente – di pellicole catastrofiche (sì, perché l’alieno è sempre cattivo) in cui la terra deve difendersi dai pericolosi invasori. In questo caso il campo di battaglia è l’Oceano Pacifico, teatro di una annuale esibizione della Marina Militare che si trasforma in una lotta per la sopravvivenza della terra.
La pellicola di Berg impiega molto per entrare nel vivo, mostrandoci un prologo – a tratti anche divertente – in cui facciamo conoscenza con i protagonisti, in particolare, i due fratelli Hopper: Stone, Ufficiale Comandante modello e Alex, un Tenente arruolatosi in Marina per dare uno scossone a una vita abulica. Sarà – ovviamente – il secondo, il vero protagonista della pellicola grazie a una metamorfosi che lo trasforma da sciagurato avventore di locali notturni a stratega impeccabile con punte di assoluto coraggio.
Oltre alle scontate scene adrenaliniche e catastrofiche (ottimo l’attacco di infuocate palle rotanti che mettono a ferro e fuoco Hong Kong), Battleship” appare come una enorme opera retorica, gravemente infarcita di luoghi comuni, di stereotipi, che ci propone una caratterizzazione dei personaggi a dir poco scontata: il ribelle di bell’aspetto – innamorato della figlia del capo -, l’eroico fratello perito in battaglia che va vendicato, il litigio e poi amicizia dell’americano con un collega giapponese, lo scienziato un po’ sfigato che si riscatta e un ex militare senza gambe che combatte contro gli alieni a mani nude. Tralasciando le lacune della sceneggiatura, ricordando che la pellicola è ispirata al gioco Hasbro, gli improvvisi colpi di scena non convincono fino in fondo lasciandoci con una accentuata sensazione di déjà vu. Se poi consideriamo l’ormai classico difetto fisico che rende vulnerabili gli alieni il quadro è completo.
Commenti finali
Nonostante l’ampio budget e un cast di stelle, “Battleship” non raggiunge il livello di altre pellicole catastrofiche, pur proponendoci una agguerrita battaglia navale (spostando quindi l’azione dalla città all’Oceano) ben realizzata. Un prodotto di mero intrattenimento che farà felici i fan del genere ma che lascia più di un dubbio sulla deriva di un cinema che in maniera ripetitiva ed ossessiva realizza pellicole sci-fi con un leitmotiv comune e dall’esagerata enfasi con l’unico obiettivo di immergere lo spettatore in un film ibrido (che tanto prende dal gioco) tralasciando – volontariamente – i codici cinematografici classici.
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