Parigi; fine Ottocento. Il giovane Georges Duroy (Robert Pattinson), reduce da una deludente campagna militare in Algeria, inizia a lavorare come dipendente delle ferrovie. Solo, povero e pieno di invidia e di amarezza per i ricchi borghesi, incontra per caso l’ex commilitone Charles Forestier, che lo invita a casa sua per offrirgli un pasto decente e introdurlo alle conoscenze del giornale politico per cui lavora. Qui conosce la moglie di Forestier, la colta e intelligente Madeleine (Uma Thurman), che finirà per sposare, la giovane e frizzante Clotilde de Marelle (Christina Ricci), la prima amante che mai lascerà, e la più attempata Virginie Walters (Kristin Scott Thomas), fino a quel momento moglie fedele del direttore del giornale. Privo di scrupoli e di talento, Duroy imparerà che le persone più influenti della ricca società parigina non sono gli uomini, ma le loro mogli e, ormai soprannominato “Bel Ami”, sfrutterà il proprio potere seduttivo per diventare un uomo ricco e potente.
I due registi di teatro Declan Donnellan e Nick Ormerod esordiscono sul grande schermo con una versione del famoso romanzo realista di Guy de Maupassant dalle sfumature molto patinate e teatrali, ma sostanzialmente godibili. A partire da quell’intro buio e funesto che ci introduce Georges Duroy/Robert Pattinson sulla sgangherata seggiola di una squallida stanza, mentre fissa un piatto vuoto ornato da un pezzo di pane raffermo e si ricorda di quando un attimo prima, immobile sulla strada piovosa, guardava all’interno di una grande vetrina la ricca società divertirsi, bere e mangiare. Una messa in scena pulita, ma forse troppo pudica, troppo trattenuta, che concede più spazio all’ellissi e alla metafora piuttosto che alla verità della visione. Quasi kafkiana quell’immagine di lui che con le lacrime agli occhi prende a scarpate uno scarafaggio: metafora del suo stesso senso di inadeguatezza sociale, quell’essere povero che lo ripugna e che pesa su di lui come un macigno. Messa in scena che poco o niente concede alle importanti vicende politico-storiche del periodo, appena svogliatamente sfiorate; eppure, ben capace di trasmettere la fissazione del protagonista, che è disposto a rinunciare a tutto, ai valori certo, ma forse anche alla felicità, pur di diventare ricco. E quel gesto, sublime, di raccattare dal tavolo le poche monete rimaste, per darle qualche passo dopo in elemosina a un pezzente, racchiude tutta la sua essenza: l’ossessione di diventare un borghese, un’idea che lo seduce in modo martellante e finisce per possederne ogni pensiero, ogni lembo di carne.
Reso famoso da Edward Cullen nella saga di “Twilight”, questa volta Robert Pattinson presta corpo e volto a un eroe piuttosto antipatico, diciamocelo. Perché come si fa ad amare qualcuno che non cambia? Qualcuno che non impara dal passato, non impara dagli errori, non impara dalle persone che frequenta, non impara né a scrivere dignitosamente né a parlare in modo anche solo minimamente opportuno. Insomma, non impara. “Bel Ami” è un ragazzo fondamentalmente ignorante, desideroso di entrare nella società borghese semplicemente per goderne i soldi, non certo per imparare a destreggiarsi tra partite di pocker e discorsi politici, che non fanno altro che annoiarlo mortalmente. Quando il codice vorrebbe da lui una piccola frase di corteggiamento velato, davanti a una Virginie che a stento contiene la sua “fame”, Georges riesce a dire quanto di più brutto e fuori luogo potesse osare: “volete assaggiare una delle mie pere?”. Conosce alti e bassi solo apparentemente: passa dai pantaloni sgualciti agli abiti di seta, dalle fredde panchine delle bettole dove spende le notti a ubriacarsi ai letti morbidi e bianchi di stanze lussuose, da un nome proletario a uno dalle altisonanti inflessioni nobiliari; ma la sua anima non ne viene in alcun modo scalfita. In questo senso la scelta di Robert Pattinson non poteva essere più appropriata: da vampiro a involucro senz’anima il passo non è poi così lungo. Tanto più che qualcosa del vampiro Edward rimane addosso anche al francese Georges: viso perennemente pallido e dotato di occhiaie poco rassicuranti, vestiti neri, gelida sensualità.
A onor del vero, il giovane inglese ha saputo vestire il ruolo del Bel Ami in un modo che, se non brillante, è comunque apprezzabile. Parzialmente in accordo col romanzo di Maupassant, in fondo non doveva emergere poi molto da Georges Duroy: Pattinson doveva semplicemente essere bello – e qui ci siamo – e arrabbiato. Quindi non c’è da stupirsi che l’attore abbia mostrato per quasi tutta la durata della storia uno sguardo cupo e un broncio serrato, in qualsiasi situazione si trovasse; ad eccezione di un paio di scene davanti allo specchio quando il lascivo compiacimento di vedersi ben vestito è stato reso con un sorrisetto nervoso – ma si può scusare, perché il sorriso non è certo il suo punto di forza –. Un solo peccato vero: quello di avere dato al suo Bel Ami una sfumatura molto diabolica (che raggiunge il culmine con la tentata seduzione di Virginie dentro a una chiesa), ma poco sensuale. Ecco, la sensualità: la capacità, più innata che pianificata, di generare desiderio, sussulti e brividi di cui pentirsi, di regalare tensioni emotive e risposte fisiche inconsce e incontrollabili. È qualcosa di sottile, la seduzione. Una sottigliezza di cui il Bel Ami di Robert Pattinson non è dotato, e neppure le sue donne. Gli incontri amorosi sono freddi, macchinosi, forse fin troppo casti; non regalano un sorriso, una lacrima, un gemito. L’amore diventa nelle mani dei due registi puro utilizzo: Georges usa le donne per la sua arrampicata sociale, le donne usano Georges perché giovane, bello e apparentemente insaziabile.
Robert Pattinson nei panni dello spregiudicato tombeur de femmes è piacevole, certo non convince, ma alla fine a noi spettatori tocca crederci sulla parola. Ha comunque avuto il merito di reggere la storia sulla sua sola performance, dato lo scarso brio delle tre presenze femminili: una Uma Thurman sempre più scialba, una Kristin Scott Thomas troppo lontana dalla bravura a cui ci ha abituati e una Christina Ricci sicuramente più nel ruolo rispetto alle altre, ma incapace di lasciare un segno. Emerge una visione del “Bel Ami” piuttosto impoverita, ma comunque sufficiente: sufficiente a dare una rinnovata credibilità cinematografica all’antieroe di Maupassant, tenuto in vita solo dalla determinazione rabbiosa con cui trapela la sua rivalsa; sufficiente a restituirci l’atmosfera di un’epoca avida e voluttuosa, in cui le donne avevano ancora una forte influenza sul mondo.
Voto:
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