Britney Spears è una delle popstar più amate del pianeta e nessuno avrebbe mai potuto immaginare per lei una situazione da incubo come quella che ha vissuto negli ultimi decenni. Si è discusso abbondantemente della conservatorship del padre, Jamie Spears, e di come Britney fosse completamente assoggettata. Partendo dai disturbi mentali di cui ha sofferto quando era all’apice della sua carriera, Jamie Spears ha curato le finanze della figlia, appropriandosi di queste ma anche controllando ogni singolo aspetto della sua vita, sia professionale che privata. La vicenda è emersa solo a seguito dell’esplosione del movimento #freebritney, che ha dato un’accelerata al caso e ha portato a risultati che, fino a poco tempo prima, sembravano impossibili da raggiungere.
Da diverso tempo, infatti, Britney Spears richiede che sia rimossa la tutela legale da parte del padre. La popstar non ne ha mai parlato pubblicamente e il movimento è cresciuto indizio dopo indizio, arrivando alla scoperta di una realtà davvero terribile, della quale la popstar ha parlato apertamente solo in udienza. Nei giorni in cui “Britney contro Spears” usciva su Netflix, inoltre, la tutela legale di Jamie Spears è stata finalmente sospesa. Il caso mediatico ha sicuramente contribuito a velocizzare dei tempi già particolarmente lenti, ma anche a riportare in luce una situazione che negli USA affligge molte persone. E se questo è stato possibile con un personaggio del calibro di Britney Spears, che ne sarà di tutti gli altri? Al di là delle tematiche che finalmente si possono trattare, il caso della conservatorship ha permesso di riflettere anche sul ruolo dei media e l’impatto che possono avere sulla vita di una celebrità.
La questione è già stata affrontata in “Framing Britney Spears”, il documentario del New York Times che è impossibile non utilizzare come termine di paragone. Rispetto a quello, “Britney contro Spears” risulta essere una brutta copia, nella ripetitività degli argomenti (e delle immagini) ma anche a causa delle tempistiche. Tra un documentario e l’altro è passato troppo poco tempo e tutto suona già come già sentito e già visto, sebbene non tutte le testimonianze raccolte coincidano. L’argomento, certo, lascia poco margine e la domanda sorge spontanea: era davvero necessario un altro documentario sul tema? Dal punto di vista della regista Erin Lee Carr, supportata dalla giornalista Jenny Eliscu, la risposta è ovviamente sì. Ci stava lavorando già da diverso tempo, in particolar modo per via della sua grande passione per Britney Spears che, negli anni della sua adolescenza, era diventata quasi un’ossessione. E troppo spesso il documentario sembra un collage prodotto da una vera e propria fangirl con la passione per il giornalismo, più che un’opera d’inchiesta e informazione com’è invece quello del New York Times. “Britney contro Spears” non è in grado di catturare l’attenzione allo stesso modo: se da una parte la motivazione potrebbe essere proprio la tempistica e il fatto che ormai l’argomento sia stato trattato in tutti i modi possibili, dall’altra sembrano proprio le scelte della regista a penalizzare il suo stesso lavoro. Carr si concentra molto sulle testimonianze anche non necessariamente a favore del suo idolo, cercando di dimostrare un’obiettività che, di fatto, non esiste. Sembra quasi che voglia ostentare le testimonianze e i documenti raccolti (nemmeno in maniera così accurata), penalizzando la storia personale di Britney Spears e i passaggi che l’hanno portata al punto in cui è oggi, in nome di una carrellata di persone sempre pronte a ballare sulla sua carcassa.
A questo punto, quindi, ancora una volta non si può fare a meno di riflettere sul ruolo dei media. Britney Spears ha dichiarato di non gradire questa rappresentazione continua della sua storia e soprattutto dell’aggressività mediatica subita, una ferita ancora aperta e dolorante ed un feticcio per gli spettatori. Se già il problema si poneva con il primo documentario, quello prodotto da Netflix non può che suonare come un accanimento nei confronti della popstar, con la scusa dell’omaggio e del riscatto. Quindi la risposta è no, non ne avevamo bisogno e non ne aveva bisogno soprattutto Britney Spears. Si punta il dito contro un padre che ha monetizzato a discapito della figlia, ma lo si fa continuando a monetizzare sulla storia di una donna che oggi, sulla soglia della tanto agognata libertà, forse vorrebbe che i riflettori su di lei si spegnessero una volta per tutte.