Prima di salutarci dopo il suo spettacolo del “Wrecking Ball Tour“, Bruce Springsteen ieri ha intonato “Who’ll stop the rain”. Tecnicamente lui non ci è riuscito a fermare la pioggia, ma in un certo senso (figurato, ovvio) è quello che è accaduto; Firenze è stata inclemente dal punto di vista meteorologico, ma le oltre quarantamila persone accorse allo Stadio Franchi per vederlo, dopo nove anni di assenza del Boss dalla città toscana, non ci hanno fatto caso più di tanto.
E lui, l’instancabile Bruce Springsteen, ha condiviso la pioggia insieme ai suoi fan, saltando su e giù dal palco, correndo avanti e indietro per sentire il contatto con loro, quello vero, senza gorilla pronti ad intervenire. Al massimo qualche pacca col microfono sulle nocche, per i più “inseparabili”.
La prima cosa che ho notato è stato proprio questa: il sorriso di una leggenda vivente che si stava divertendo e aveva bisogno di sentire il contatto della gente, pelle contro pelle. Non come le star spocchiose che si concedono solo da lontano o come quelle che dal palco non scendono mai, nemmeno come quelle che si avvicinano ma si concedono appena, e poi arriva un energumeno pronto ad allontanarti, con violenza, se serve. The Boss ha scherzato con tutti, ha ricevuto i loro doni, le loro richieste, ha dispensato sorrisi, calore e note. Tante note, dalle otto e mezza a mezzanotte, anche con la pioggia.
Un brano più coinvolgente dell’altro per una scaletta lunghissima, ben trenta brani, Bruce Springsteen sarebbe andato avanti all’infinito e nessuno di certo si sarebbe spostato dal luogo in cui si trovava, anche se la pioggia si faceva sempre più insistente e fredda. Nonostante l’inconveniente di essere bagnati fradici, tutto è stato più suggestivo, ballare e cantare in quarantamila sotto un’acqua determinata a non fermarsi: ci siamo lasciati tutti andare, rimettendoci nelle sapienti mani dell’E-Street Band.
Di concerti negli ultimi anni ne ho visti davvero tanti, sono passata sotto il palco di moltissimi big e non ho mai saputo dire con estrema certezza quale, fra tutti quelli visti, fosse il mio preferito. Fino a ieri avrei puntato sullo spettacolo di Roger Waters, oggi non lo so più. Forse non dovrei nemmeno azzardare il paragone tra il rock psichedelico dei Pink Floyd, lo spettacolo suggestivo di “The Wall” (un’opera che si incentra su una tematica ben precisa e che riesce a scatenare fortissime emozioni nello spettatore) e il rock’n’roll americano, quello del berretto nella tasca dei jeans di “Born in the U.S.A.“; d’altro canto il re del rock made in New Jersey ha saputo regalare una carica d’energia senza precedenti, sessantatre anni e non sentirli, belle voci, grandi suoni e tanta anima. Da una parte mi ritrovo il sofisticato spettacolo di un uomo che al suo pubblico si concede solamente come performer, ama di certo il suo mestiere e la sua arte ma trasmette tutto in maniera diversa; dall’altro ho ammirato un uomo innamorato di quello che fa, che si concede al suo pubblico come performer e come essere umano. Credo nel fatto che tutti siamo predestinati, alcuni di noi hanno accesso a qualcosa di grande ed alcuni di questi sono nati per stare sul palco. Bruce Springsteen appartiene alla seconda categoria, mentre le luci illuminano lo stadio a giorno sulle note di “Born to run” penso a chi sostiene che il rock sia morto. E poi mi dico che non è andato a vedere un concerto del Boss.
La scaletta del concerto di Firenze:
- Badlands
- No Surrender
- We Take Care Of Our Own
- Wrecking Ball
- Death To My Hometown
- My City Of Ruins
- Spirit In The Night
- Be True
- Jack Of All Trades
- Trapped
- Prove It All Night
- Honky Tonk Woman / Darlington County
- Burning Love
- Working On The Highway
- Shackled And Drawn
- Waiting On A Sunny Day
- Apollo Medley
- The River
- The Rising
- Backstreets
- Land Of Hope & Dreams
- Rocky Ground
- Born In The U.S.A.
- Born To Run
- Hungry Heart
- Seven Nights To Rock
- Dancing In The Dark
- Tenth Avenue Freeze-Out
- Twist & Shout
- Who’ll Stop The Rain