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Buon compleanno a Roberto Benigni

Eppure io credo che se ci fosse un po’ più di silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa potremmo capire…

(La voce della Luna, 1990)

Ecco, uno dei personaggi che meglio riflettono l’indole di Benigni, fra i molti da lui interpretati, è l’Ivo Salvini de La voce della Luna, ultima, indimenticabile regia di Federico Fellini, ispirata al poema di Ermanno Cavazzoni. Un matto di paese, un po’ poeta un po’ scemo del villaggio, che si appella al silenzio e si pone in ascolto del respiro della natura in un’epoca di rumore frastornante, di arroganza e volgarità mediatica, di barbarie (sotto)culturale mascherata da spettacolo di massa.

Roberto Remigio Benigni compie cinquatotto anni: nasceva il 27 ottobre del 1952 a Castiglion Fiorentino, in provincia di Arezzo.

Compie cinquatotto anni uno degli italiani contemporanei più famosi nel mondo, al quale, però, il successo non è piovuto addosso in maniera rapida e indolore. Il ragazzo di campagna, il giullare toscano che è stato, adolescente, allievo di seminario, presto abbandonato per intemperanza caratteriale, trasferitosi a Roma nei primi anni Settanta, ha collezionato una rosa di esperienze teatrali e di particine televisive, prima di approdare al grande schermo come attore. Un inizio carriera all’insegna dei fratelli Bertolucci, si può dire. È sotto la direzione di Giuseppe che esordisce in Berlinguer ti voglio bene (film di cui è anche co-sceneggiatore) nel 1977 e per Bernardo che recita ne La luna (1979).

Fra apparizioni televisive che esaltano il suo estro comico e altre interpretazioni cinematografiche, Benigni giunge nel 1983 alla prima regia, il film a episodi Tu mi turbi, opera imperfetta ma non priva di trovate interessanti e di slanci lirici. Per la prima volta Benigni dirige Nicoletta Braschi, destinata a diventare sua fedele compagna di vita e sul set.

Ma che colpa abbiamo noi, diretto a quattro mani, due anni più tardi, con Massimo Troisi, si rivelerà un grande successo. La carriera di Benigni è spartita ormai fra l’attività di attore e quella di regista. E se la prima lo porrà a contatto con autori come Jim Jarmush (la prima collaborazione, Daunbailo, data 1986), con Fellini, come già detto, e con Blake Edwards (Il figlio della Pantera Rosa, 1993), la seconda sarà segnata dal legame, ancora intatto, con il grande sceneggiatore Vincenzo Cerami. Certo, le prime sinergie creative non sono forse all’altezza di quanto verrà dopo. Il piccolo diavolo (1988) diverte, ma soprattutto per la dialettica fra un il cipiglioso Walter Matthau e lo sgangherato diavoletto BenigniJohnny Stecchino (1991) e Il mostro (1994), invece, improbabili varianti sul tema del doppio, appaiono assai stiracchiati.

La vita è bella esce nel 1997 ed è un film che non necessita di presentazioni. Operazione astuta? Capolavoro? Si è affermato di tutto. Ma quel film, che valse a Benigni l’Oscar come miglior attore (primo italiano di sesso maschile ad accaparrarsi un simile riconoscimento) e incassò anche la statuetta per le migliori musiche (Nicola Piovani) e per il miglior film straniero, rimane il più elevato dei prodotti benigniani, ambasciatore di quella facoltà affabulatoria e magica della parola di elaborare anche la realtà più tragica.

Il confronto con un precedente come questo non ha certo giovato a Pinocchio (2001), film già di per sé gracile. Ma Benigni ha saputo riprendersi egregiamente con La tigre e la neve (2005), immaginifica e delicata parabola sull’amore al tempo della guerra (quella in Iraq).

Negli ultimi anni, l’impegno più ponderoso di Benigni è consistito nelle interpretazioni dantesche con cui ha battuto palcoscenici e piazze, dimostrando con il testo della Commedia una familiarità di lungo corso. Ciò gli è valso la candidatura, nel 2007, al Premio Nobel per la Letteratura.

Benigni, oltre ai riconoscimenti “artistici” accumulati negli anni (l’Oscar è in buona compagnia, fra Nastri d’Argento, David di Donatello, César…) è stato insignito di ben tre lauree honoris causa. Una venuta da Israele.

Dario Gigante

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