Secondo e ultimo week end sulla Croisette di Cannes. Ancora due assi pronti ad essere calati dal concorso del sessantaquattresimo Festival: “Drive” del danese Nicolas Winding Refn e “This must be the place” di Paolo Sorrentino. “Drive” Autore di culto, ma sostanzialmente sconosciuto in Italia, se non per vie clandestine, Nicolas Winding Refn è uno dei registi più interessanti del panorama contemporaneo. A soli 25 anni Refn realizza il suo primo film, “Pusher – L’inizio”, che diventa il primo capitolo di una trilogia nota come la “Trilogia del Pusher”, che termina nel 2005. Nel 1999 realizza il suo secondo lungometraggio, “Bleeder”, seguito da “Fear X”, del 2003, suo primo film in lingua inglese che vede la collaborazione dello scrittore beat Hubert Selby Jr. Nel 2008 realizza il film biografico “Bronson”, che racconta la storia del criminale inglese Michael Gordon Peterson, meglio conosciuto come Charles Bronson, famoso per aver trascorso gran parte della sua vita in cella d’isolamento. Nel 2009 dirige l’attore danese Mads Mikkelsen nell’epico “Valhalla Rising”, racconto esistenzialista che si fonde con il mito della dinastia vichinga, film presentato nella selezione ufficiale del Toronto International Film Festival e fuori concorso alla 66ª Mostra del Cinema di Venezia. Ora è il turno di “Drive” presentato in concorso a Cannes e il cui cast può contare sui candidati all’Oscar Ryan Gosling e Carrey Mulligan. “Drive” è la storia di uno stuntman/autista per rapine costretto alla fuga dopo un colpo sbagliato, basata sul romanzo omonimo del 2005 dello scrittore statunitense James Sallis. Lo sceneggiatore Hossei Amini ha adattato il libro, ambientato a Los Angeles e a proposito del libro che ha ispirato il copione cinematografico ha dichiarato:
Un romanzo breve, cupo, quasi una poesia. Ciò che ho amato di più è che Sallis riesce a inserire delle figure straordinarie all’interno di una trama molto semplice, con la sottotraccia tipica della ‘rapina andata male’: un vero e proprio clichè di un sacco di film, ma in questo caso è interessante per il modo in cui si ripercuote su tutti i personaggi. L’adattamento è stata una grande sfida perché la storia non è lineare, è intessuta di flashback e salti temporali, una struttura difficile da rendere in un film mainstream.
Molti applausi durante la proiezione stampa di ieri sera. “This must be the place” Nato dall’incontro nel 2008 a Cannes tra Paolo Sorrentino e Sean Penn, quell’anno presidente di giuria della kermesse cinematografica, “This must be the place” è l’esordio in lingua inglese del regista napoletano; ma il progetto è un progetto rigorosamente italiano (o meglio, come tiene a sottolineare lo stesso Sorrentino, europeo) come dimostra la più totale libertà artistica concessa al regista e ai suoi collaboratori. Non è un caso che tra i produttori ci siano Fandango e Intesa San Paolo e la distribuzione sia stata affidata a Medusa. “This must be the place” è la storia di Cheyenne, rock star ritiratasi dalle scene. L’uomo conduce la vita monotona di un pensionato benestante, fino a quando decide di partire alla ricerca di quello che fu il persecutore del padre, un ex criminale nazista che si nasconde negli Stati Uniti. Solo dopo la morte del padre, Cheyenne viene a conoscenza del dramma che il genitore aveva vissuto come internato ad Auschwitz e dell’umiliazione inflittagli da un ufficiale SS. Nel cuore dell’America Cheyenne intraprende così il viaggio che cambierà la sua vita e dovrà decidere se sta cercando redenzione o vendetta. “This must be the place” è quindi la stringente analisi di un uomo sul precipizio di un’ossessione. Oltre a Sean Penn, che sulla Croisette è protagonista di un altro dei film più attesi del concorso “The tree of life” di Terrence Malick, fa parte del cast un altro premio Oscar, l’attrice Frances McDormand, apprezzata protagonista di film come “Fargo”, “Mississipi Burning” e “America Oggi”; è previsto inoltre un piccolo cameo di uno dei più apprezzati caratteristi del cinema americano e, per ammissione dello stesso regista, uno degli attori preferiti di Paolo Sorrentino, ovvero Harry Dean Stanton. Il film può contare inoltre sulla colonna sonora di David Byrne, fondatore e leader dei Talking Heads e già premio Oscar per la colonna sonora de “L’ultimo imperatore” di Bernardo Bertolucci. “This must be the place” è, tra le altre cose, il titolo di una delle canzoni più note dei Talking Heads. Foto: www.comingsoon.it; www.piucinema.it Via: www.sentieriselvaggi.com