Prendete John C. Reilly, Christoph Waltz, Kate Winslet e Jodie Foster, poi metteteli in una stanza e lasciate Roman Polanski dietro una macchina da presa e reclutate Alexandre Desplat per la colonna sonora : quel che ne verrà fuori sarà un film squisito. Capace di variare da un genere all’altro, Roman Polanski è senza alcun dubbio uno dei volti più controversi e talentuosi della storia del cinema e ce ne dà un’ulteriore prova con la sua ultima opera, “Carnage“, tratta dalla piéce teatrale (altro enorme successo) “The god of Carnage” di Yasmine Reza, che tra l’altro ha collaborato con il regista anche per la sceneggiatura del film. Avvalendosi di un quartetto più che eccezionale, Roman Polanski ha portato in sala un’opera irriverente, una vera e propria critica alla borghesia americana, che non arriva proprio casualmente, considerato l’esilio del regista che dura ormai da anni e che per tanto tempo ha fatto discutere. La New York che vediamo nel film in realtà non è quella reale, ma poco importa visto che Polanski con “Carnage” ci insegna che raccontare un intero film in un unico ambiente non ne intacca per nulla la qualità ed è in grado di mantenere viva l’attenzione dello spettatore. Merito dei dialoghi pungenti e dinamici ed anche di una situazione che si evolve in un climax di angoscia che sfocia in sfoghi nevrotici, il nostro regista sta tirando fuori il lato peggiore dei protagonisti per dimostrarci che nulla è come appare in realtà. Al centro della vicenda troviamo due famiglie che devono discutere della lite dei loro figli undicenni avvenuta a scuola. Una è la famiglia Longstreet, composta da Penelope, Michael e il povero Ethan che nella lite ha perso i suoi denti. I genitori del bambino sono interpretati da Jodie Foster e John C. Reilly, mentre i genitori di Zachary, il bambino che ha picchiato l’altro, sono Nancy e Alan Cowen, interpretati da Kate Winslet e Christoph Waltz. Un film con soli quattro protagonisti, perché i due bambini rimangono invisibili per tutto il tempo e non a caso: qui viene presa in analisi la personalità dei genitori, troppo intenti a badare alle apparenze e menefreghisti nei confronti dei loro figli, impegnati a mostrare una parte di loro che non li rispecchia a pieno. Michael (John C. Reilly) è un uomo gentilissimo che gestisce un negozio di articoli casalinghi, sempre accomodante nei confronti degli ospiti e meno nei confronti della moglie, ben vestito per il grande incontro, che presto saprà trasformarsi in un personaggio totalmente diverso, molto più violento e molto meno calmo rispetto alla sua presentazione iniziale e che è disposto a vedere soffrire la figlioletta mollando il suo criceto “rumoroso” in mezzo alla strada. Lo stesso vale per la moglie, Penelope (Jodie Foster), che ostenta perbenismo e pacifismo, con il suo estremo amore per l’Africa e l’intenzione di cogliere la reale volontà, da parte dei bambini, di riappacificarsi, ma che non sa mantenere un rapporto pacifico nè con il marito, nè con i suoi ospiti. Dall’altra parte abbiamo Nancy (Kate Winslet), promotore finanziario capace di trasformarsi nel suo peggiore alter ego dopo un solo bicchiere di scotch. Una donna dallo stomaco e dalla personalità debole, costruita su un’impalcatura precaria, che nasconde in sé un odio represso nei confronti di un marito egocentrico. Alan (Christoph Waltz) infatti vive in un mondo a parte e del figlio, che definisce “pazzoide” gli importa ben poco. E’ un avvocato di successo e trascorre metà del suo tempo al telefono ed anche lui, quando gli viene portato via il suo oggetto più prezioso, perde le staffe. Dentro una sola stanza scoppia un vero e proprio putiferio e quelli che prima erano dei personaggi gentili e posati, tirano fuori i peggiori difetti del genere umano. Roman Polanski smonta pezzo per pezzo la personalità di ognuno di loro, in un crescendo di dialoghi e comportamenti, un’evoluzione (anche se all’inverso) di questa loro voglia di apparire che poco a poco si frantuma. Basta saper toccare il tasto giusto (o sbagliato, a seconda dei punti di vista) e in ogni protagonista scatta il suo vero io, ha inizio un libero sfogo di tutte le frustrazioni, di tutti i pensieri tenuti a marcire nello stomaco, pronti a venire fuori, in alcuni casi anche letteralmente. E a rendere ancora più avvincente un’opera così particolare, ci sono ben tre premi Oscar ed uno che ci è arrivato quasi vicino. Il ghigno di Christoph Waltz (premio Oscar per “Bastardi senza gloria”) è ormai un marchio di fabbrica e si addice perfettamente all’immagine dell’avvocato avido e privo di morale. Si contrappone a lui la figura di John C. Reilly (“quasi” Oscar per “Chicago”), il pacioccone dal “carattere di merda” che esplode tutto d’un colpo e non trasmette più poi tanta serenità. E poi ci sono le donne, una perfetta Kate Winslet (pluricandidata e vincitrice di un Oscar per “The Reader”) che sfoga tutta la sua rabbia contro il marito assente e che, come tutti gli altri, dimentica di essere una persona composta e perbenista ed in quanto a perbenismo, nessuno batte però Jodie Foster (quattro candidature e due vittorie all’Oscar per “Sotto accusa” e “Il silenzio degli innocenti”), dall’aspetto trasandato e il suo amore per la cultura, che potrà in futuro servire ai suoi figli ed al mondo per porre delle basi pacifiste. Non lasciatevi illudere dal fatto che un intero film sia ambientato in una stanza, quindi. Roman Polanski è riuscito perfettamente a fare a fette i caratteri dei suoi personaggi, presentandoci quello che, in fondo, ognuno di noi è: portiamo tutti delle maschere, ma non appena le togliamo per prendere aria, tiriamo fuori il peggio di noi, che si è accumulato nel corso del tempo, non trovando alcuna valvola di sfogo. Voto: [starreview tpl=16]