Jackie Cogan (Brad Pitt) è un duro che a New Orleans si dedica a un mestiere molto delicato. È uno specialista della sicurezza particolarmente apprezzato in interventi “non ufficiali”, richiesti da clienti che non vogliono farsi troppa pubblicità. L’ultimo incarico che gli è stato assegnato è una brutta gatta da pelare: deve trovare i responsabili di un colpo grosso ai danni della malavita locale, una rapina compiuta durante una partita di poker tra personaggi molto influenti nel giro. Pare che gli autori del colpo siano due criminali da strapazzo, e vanno trovati ad ogni costo.
Presentato con scarso successo all’ultimo Festival di Cannes, arriva nelle nostre sale “Cogan – Killing Them Softly” opera terza di Andrew Dominik e nuova collaborazione tra l’autore neozelandese e Brad Pitt a cinque anni di distanza da “L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford”.
Dopo aver rivisitato il genere western in una chiave contemporaneamente epica e intimistico-psicologica, Dominik con “Cogan – Killing Them Softly” propone una sua versione personale del genere gangster movie, commissionando istanze che provengono dal cinema di Martin Scorsese e Quentin Tarantino (con qualche spruzzata coeniana) per dare una sua visione sul mondo contemporaneo funestato da una crisi economica che è al contempo crisi valoriale.
Ambientato nel 2008, “Cogan – Killing Them Softly” è accompagnato da una inusuale colonna sonora, ovvero i discorsi televisivi e radiofonici che accompagnarono la campagna elettorale per le presidenziali americane di quattro anni fa. Barack Obama, John McCain e George W. Bush disquisiscono di economia, mentre i personaggi si muovono all’interno di un paesaggio desolante, brutto, sporco e cattivo.
“Cogan – Killing Them Softly” si presenta come un racconto metaforico sulle contraddizioni del capitalismo e, di riflesso, dell’America: “l’America non è un paese, ma un business” dirà ad un certo punto Jackie Cogan. Il film di Andrew Dominik è popolato da persone sempre in cerca di soldi, senza una vaga idea di quanto siano infelici, che detestano il loro lavoro, vessate da capi indecisi e incompetenti che si anestetizzano con droga, sesso e alcool, che non guardano mai le loro vittime negli occhi: le uccidono dolcemente, da distanza.
Utilizzando un tocco ironico e affidandosi a dialoghi torrenziali, “Cogan – Killing Them Softly” finisce con il risultare troppo didascalico e programmatico nelle proprie intenzioni. Le metafore sono sbandierati da questo campionario di simpatiche (e logorroiche) canaglie, ma il messaggio del film passa (quasi) esclusivamente dalle parole dei suoi protagonisti.
Confezionato con grande professionalità e con qualche vezzo formale non sempre indispensabile, “Cogan – Killing Them Softly” banalizza i propri (pur lodevoli) intenti, arenandosi in una staticità espressiva alla fine controproducente. Bei dialoghi, belle prove d’attore, ma manca quel mordente, quel quid che dia sostanza e concretezza al fiume di parole che si abbatte sullo spettatore e lo attanaglia per oltre un’ora e mezza.
Da sottolineare le ottime prove di tutto il cast: da un Brad Pitt in versione verbosa e letale, a comprimari di lusso da applausi, soprattutto il sempre impeccabile Richard Jenkins e un malinconicamente divertente James Gandolfini, senza dimenticare Ben Mendelsohn, una conferma dopo “Animal Kingdom”.
Nonostante questo, “Cogan – Killing Them Softly” è un film troppo cerebrale e troppo teorico per convincere a pieno.
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