In un mondo che non può più fare a meno di internet, ci sono molti aspetti negativi, ormai oggetto di studio ed anche soggetti buoni per un film: dopo “The Social Network“, che ha raccontato l’ascesa di Facebook, non proprio docile, arriva “Disconnect” di Henry Alex Rubin: tre storie, a loro modo intrecciate, direttamente collegate al mondo del web e alle conseguenze drammatiche che talvolta ne conseguono.
Il lavoro di Rubin scorre bene, a volte mette tensione, ma lascia un finale sospeso, che non rende giustizia nè condanna nessuno dei suoi protagonisti, a mio parere una scelta abbastanza deludente e inconcludente, che toglie qualcosa a un film che altrimenti funzionerebbe piuttosto bene.
Internet è un mondo senza confini e qualcuno talvolta rischia di perdersi e superare i limiti del buonsenso, trascinato dagli eventi e da persone molto spesso sconosciute, può perdere anche la propria dignità. Ne è un esempio la storia del giovane e disadattato Ben Boyd (Jonah Bobo), solitario per costrizione a causa della sua stranezza, amante della musica e preso in giro dai compagni di scuola. Il ragazzo conosce una certa Jessica su un social network ed instaura un rapporto di amicizia senza sapere che in realtà sono due ragazzi della sua stessa scuola ad approfittare della sua ingenuità. Jessica riesce ad avere una foto di Ben nudo che farà subito il giro della scuola e il ragazzo, distrutto per l’accaduto, decide di togliersi la vita impiccandosi. La sorella riuscirà a salvarlo dalla morte, ma Ben è ormai finito in coma. Dalla sua storia emergono molte tematiche, in primis quella del bullismo, purtroppo oggi un fenomeno comune che ha visto molti adolescenti perdere la vita a causa di scherzi simili; poi c’è la famiglia, mai abbastanza attenta alle esigenze dei figli e a quello che succede loro, il padre di Ben, Rich Boyd (Jason Bateman) se ne rende conto quando è troppo tardi e decide allora di scoprire in ogni modo chi è stato la causa dell’estremo gesto del figlio. Lo stesso vale per la sorella, Abby (Haley Ramm) che prima usava deridere Ben a scuola insieme alle amiche, ma dopo averlo trovato in fin di vita, lo difende a suon di sputi. A questa storia si collega direttamente quella del “carnefice”, il ragazzino che si finge Jessica ma che si lascia trascinare dal fake account per raccontare anche la sua di storia e quella di un padre troppo assente (Frank Grillo) che lo riempie solo di ordini e sensi di colpa.
La pericolosità dei social network e della rete in genere è presente in tutte e tre le vicende, anche in quella della coppia in crisi, in cui Alexander Skarsgård interpreta un ex marine che deve affrontare la morte del figlio Ethan e si allontana dalla moglie. Doppio dramma, quello immancabile praticamente in ogni film americano, in cui l’ex marine rimane traumatizzato dalla guerra e dalle scene cruente che ha visto a cui si aggiunge la morte di un bambino. La moglie, nel sentirsi abbandonata in un momento di dolore, decide di contattare un gruppo di sostegno e di sfogarsi in chat ed inizia a raccontarsi a Stephen (Michael Nyqvist). I due in seguito scopriranno di essere stati frodati proprio su internet e inizialmente crederanno Stephen il responsabile delle loro disgrazie.
La terza storia riguarda il giovane Kyle (Max Thieriot), senza grandi aspettative per il futuro che è diventato un cam boy ed è disposto a fare qualsiasi tipo di gioco sessuale in cambio di soldi, in webcam. Quando una reporter (Andrea Riseborough) scopre la sua storia e tutto il meccanismo che si nasconde dietro, cerca di avvicinarsi a lui, ma la vicenda prenderà pieghe inaspettate. Di mezzo ci sarà l’FBI ed anche i sentimenti confusi di una donna che vuole fare carriera senza però sporcarsi le mani e un giovane ragazzo che grazie all’arrivo apparentemente provvidenziale di Nina, inizia a scorgere una luce nel suo futuro.
Nel complesso Rubin racconta tre storie di forte impatto, che lasciano molto su cui riflettere e sull’eccessiva presenza di internet e social network nella vita, sottolineando la facilità con cui si può perdere il controllo delle nostre vite e degli eventi in un batter d’occhio.
Colonna sonora di Max Richter, che “ricicla” il pezzo “On the nature of daylight” dopo “Shutter Island“.
L’unico elemento poco favorevole alla storia è proprio il finale: non che fosse necessario dare una conclusione netta ad ogni storia, ma almeno per quella di Boyd e di Kyle sembra che non tutto sia stato scritto.