Il mondo è completamente impazzito, ma di questo ce ne eravamo accorti già diverso tempo fa. Adam McKay lo racconta a suo modo in “Don’t look up”, commedia satirica composta da un mega-cast che, in modo particolarmente grottesco, riassume la società in cui viviamo. Dentro c’è veramente di tutto e poco importa che la produzione sia americana: è universale, ci si può ritrovare tutto quello che – giorno dopo giorno – ci infastidisce e ci rende increduli.
Don’t look up trama
Un’enorme stella cometa sta per abbattersi sul pianeta Terra, le conseguenze saranno gravissime ma nessuno sembra prendere la questione sul serio. Gli scienziati sono solo uno strumento di intrattenimento come un altro e tutto viene ridotto a meme e oggettificazione. Alla Casa Bianca c’è una Presidente donna, Jeanie Orlean (Meryl Streep) ma è la versione femminile di Donald Trump, se non peggio: e il suo Capo dello staff è il figlio Jason (Jonah Hill), viva la meritocrazia. Quelli che sono in grado di vedere quanto realmente sta accadendo, a tratti vacillano perché intorno c’è solo tanta confusione. Il magnate e CEO di Bash Peter Isherwell (Mark Rylance) sente di poter realizzare i suoi sogni di gloria inserendosi nella discussione e facendo la sua parte per ridurre la potenza dell’impatto della cometa sulla terra e salvare il mondo da una catastrofe assicurata.
Un super cast per una storia grottesca
Alla base della storia ci sono le poche persone competenti della vicenda: la promettente Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence), il suo docente Randall Mindy (Leonardo DiCaprio) e il Dr. Teddy Oglethrope (Rob Morgan), già più al limite rispetto ai primi due e colui che apre le porte del mondo dei media per diffondere la terribile notizia. Il risultato sarà solo controproducente ma questo i protagonisti lo scoprono soltanto quando sono già in ballo e i media e i social se li sono già divorati. In mezzo al turbinio della fama e mentre tutto intorno a te ti ricorda che solo gli incompetenti fanno davvero strada, rimane difficile mantenere l’equilibrio. Mindy ne è la dimostrazione concreta e perde tutta la sua lucidità di fronte ai denti sbiancati e ai quintali di trucco della conduttrice Brie Evantee (Cate Blanchett) così come abbiamo visto molti personaggi nel nostro Paese, a partire dai virologi, perdere di lucidità all’aumentare della loro notorietà.
“Don’t look up” in sostanza non è nulla che non abbiamo già visto e nulla che non stiamo già vivendo. L’intento del film è chiaro (ed è assurdo che per molti non lo sia stato) e i riferimenti ai disastri e le conseguenze del cambiamento climatico e ovviamente la pandemia che stiamo vivendo non sono nemmeno così velati. In mezzo c’è pure la canzone della popstar planetaria Riley Bina (Ariana Grande) che invita ad ascoltare gli scienziati, un chiarissimo invito a non dare retta alle bufale e ai no-vax, una vera e propria propaganda sui vaccini prima che la situazione diventi completamente irrecuperabile. Non ce ne vogliano i nostri virologi, ma la canzoncina di Ariana è molto più accattivante.
Perfetto film da divano dopo i pranzi abbondanti delle feste, “Don’t look up” è il classico film che “fa ridere ma anche riflettere”, impreziosito da un cast incredibile – che include tra gli altri Tyler Perry, Ron Perlman, Timothée Chalamet, Michael Chicklis – che non avrebbe potuto far altro che funzionare alla perfezione. Contrariamente a quanto possa sembrare, non si tratta di un film da guardare con superficialità e leggerezza, poiché contiene moltissimi livelli di lettura, citazioni e riferimenti solo apparentemente casuali. L’unica pecca è forse la durata un po’ eccessiva – che lascia intendere anche quanto enorme fosse la mole di materiale a cui attingere – ma il ritmo è mantenuto piuttosto bene, per cui non c’è mai un momento in cui la visione risulti davvero pesante.
Con “Don’t look up” Adam McKay racconta, tra molte risate amare, tutte le contraddizioni di una società totalmente imperniata sull’apparenza e il materialismo, non disposta (e ormai incapace) a guardare oltre anche quando l’intera specie umana è a repentaglio. Di mezzo ci sono interessi molto più grossi e personaggi molto più potenti, in grado di accaparrarsi una “scialuppa di salvataggio” mentre la nave sta affondando. La storia è scritta a quattro mani con David Sirota, con grande satira e intelligenza.
“Don’t look up”, “non guardare in su”, ha molteplici significati e, oltre ad essere funzionale alla trama, ricorda quanto siamo intenti a guardare nei nostri piccoli schermi, imbottiti di finzione e senza essere ormai più in grado di avere una propria scala di valori né il coraggio di uscire dagli schemi prefissati dai media e dai social. Restare a testa bassa è quello che chiedono anche la Presidentessa e i suoi sostenitori, dopotutto è molto più facile essere controllati se non si ha un’idea concreta di quanto accade intorno a noi. Guardare in alto, oltre gli schermi e gli schemi, risulta difficile perfino a chi ha tutti gli strumenti e le conoscenze necessarie per farlo, ma finisce col cedere di fronte a una serie di ostacoli tanto assurdi quanto insormontabili. Ma è davvero così? Non esiste una via d’uscita?