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Dino (Jean-Marc Barr) e Anna (Isabella Ferrari) sono una coppia di quarantenni. Si amano intensamente ma la loro non è una relazione convenzionale: Dino, infatti, si sottrae costantemente al rapporto fisico con la moglie.

Dino ha una personalità introversa e complessa. La morte suicida dell’unico fratello, Gianni, e il successivo abbandono da parte della madre lo hanno profondamente segnato.

Tormentato per non riuscire a vivere con Anna tutte le esperienze di un rapporto d’amore, Dino non è in grado di accettare l’aiuto di nessuno, nemmeno del suo psicologo, e il suo malessere si esplicita in un comportamento estremo che lo porta ad avere compulsivi rapporti sessuali con prostitute.

La sua deriva lo conduce ad andare in cerca degli ex fidanzati di Anna per sapere come fosse stato il loro rapporto, fino a chiedere loro di tornare con lei. Dal canto suo, Anna non è in grado di trovare una soluzione: non riesce e non vuole mettere fine a questo tormentato rapporto d’amore.

Una situazione di stallo emotivo che pare destinata a proseguire all’infinito, finché Dino non decide di porvi rimedio.

Isabella Ferrari, protagonista di E la chiamano estate

È stato il film più contestato della settima edizione del Festival Internazionale del Film di Roma, ma “E la chiamano estate” di Paolo Franchi ne è uscito, inaspettatamente, vincitore.

“E la chiamano estate” ha, infatti, conquistato ben due premi: quello per la miglior regia e quello per la migliore interpretazione femminile andato ad Isabella Ferrari. Un doppio riconoscimento che ha inasprito ulteriormente il vespaio di polemiche venuto a crearsi subito dopo la proiezione stampa del film.

Due premi, lo diciamo subito, inspiegabili (soprattutto quello per la regia).

“E la chiamano estate” è un film provocatorio, ma di una provocazione fine a se stessa, vuota come vuoti sono sia la forma che il contenuto: eccessivo nel suo estetismo ostentato e ridondante, fintamente coraggioso nel suo ricorrere sistematicamente a scene di sesso e nudi gratuiti e volgari, banale nella suo percorso di indagine introspettiva dei personaggi.

“E la chiamano estate” vorrebbe parlare di incomunicabilità nella vita di coppia e perversioni sessuali latenti, troppo spesso nascoste che finiscono con l’emergere con deflagrante potenza. Ma l’accumularsi di silenzi, di immagini patinate quando non sfuocate, di dialoghi imbarazzanti denotano un approccio superficiale a tematiche così complesse e spigolose.

Franchi carica eccessivamente l’aspetto visivo e costruisce un campionario di immagini tanto ricercate quanto povere di senso, latori di un’inconsistenza esiziale e una boriosità estetica a tratti insopportabile. Un formalismo leccato e inutile che appesantisce un film completamente scentrato, sorretto (si fa per dire) da una sceneggiatura che inanella una preoccupante serie di beceri e morbosi espedienti narrativi che vorrebbero scioccare, ma provocano solo disgusto e ilare risentimento verso un prodotto ridicolo e pretenzioso come pochi altri il cinema italiano ci abbia riservato in tempi recenti.

Isabella Ferrari e Jean-Marc Barr in una scena di E la chiamano estate

Altra nota dolentissima del film sono i due protagonisti che dovrebbero trasmetterci un dolore esistenziale profondo e che invece sono inermi e catatonici.

Isabella Ferrari fa del suo meglio, accetta di mettersi a nudo letteralmente, ma non riesce ad andare oltre i propri limiti attoriali. Jean-Marc Barr si trascina stancamente la sua unica espressione facciale per tutti e novanta i minuti del film, marmoreo, poco credibile e mai capace di suscitare un minimo interesse nel suo personaggio e nella sua tormentata storia.

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