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Educazione Siberiana: la recensione

“Educazione Siberiana” di Nicolai Lilin  è  una opera autobiografica in cui l’autore racconta della sua feroce adolescenza all’interno della comunità degli onesti criminali siberiani, così come loro stessi si definiscono. Il romanzo ha ottenuto diverse recensioni positive e nonostante sia stato più volte messa in dubbio la veridicità della storia raccontata da Lilin (da molti considerato un ciarlatano) è comunque da considerarsi come uno straordinario spaccato di una epoca, quella tra il 1985 e il 1995 in una Regione, dimenticata, della vecchia Russia comunista. I protagonisti del libro sono i discendenti dei guerrieri Urca ma allo stesso tempo sono semplicemente ragazzi costretti a diventare troppo presto adulti, seguendo un rigoroso codice morale  e affrontando continue battaglie contro altri gruppi criminali della regione.

Trama

Nel sud della Russia, in una città divenuta una specie di ghetto per criminali di varie etnie, due bambini di 10 anni, Kolima e Gagarin, crescono insieme, amici per la pelle. Vengono “addestrati” seguendo una morale piuttosto ambigua ma decisa nella quale c’è spazio per le rapine ed i furti ma solo se perpretrati contro i ricchi e le forze dell’ordine. Per nessun motivo possono contravvenire al codice del clan d’appartenenza e fin da piccoli imparano ad utilizzare armi da fuoco e coltelli, allenandosi in una sorta di mattatoio improvvisato dove infieriscono sul cadavere di alcuni maiali. Ben presto le strade dei due, però, si divideranno: Kolima, anche grazie alla figura del nonno Kuzja, rimarrà fedele ai siberiani, mentre Gagarin,  dopo aver smaltito sette anni di galera, si avvicinerà perilcosamente ad altri gruppi criminali. Lo scontro tra i due sarà inevitabile           .

Giudizio

L’incipit adrenalinico è tanto ben riuscito quanto effimero: dopo una breve didascalia che ci ricorda della emigrazione forzata di diverse etnie criminali, Salvatores ci regalo un brevisimo ma incisivo inseguimento in macchina con tanto di “derapate” a causa del manto stradale completamente innevato. Una scena da ricordare anche perché successivamente il film cala vistosamente – e a tratti insiegabilmente – di tono, compresa una colonna sonora assolutamente inadeguata al contesto. Alle note dolenti aggiungiamo il cast, che eccetto Malkovich comunque non in una performance da ricordare,  non riesce a donare ai personaggi il giusto mix aggressivo e passionale. Nella prima parte il film sembra, in realtà, poter ben interpretare il pensier cinematografico di Lilin, grazie alla fedeltà in alcune scene chiavi, e dando notevole spazio al nonno Kuzja interpretato da Malkovich e rendendo vivo il codice guerriero dei discendenti degli Urca. Il problema, di partenza, è, però,  la grande disponibilità di argomenti a  disposizione di Salvatores che alla lunga deraglia provando una improbabile accelerazione nella seconda parte che lascia spiazzati a causa di una evidente e caotica lacuna narrativa, dal periodo della detenzione, all’arruolamento fino all’insignificante spazio dato alla cultura – fondamentale – del tatuaggio siberiano. La sensazione di aver assistito ad una occasione persa è forte, e rafforzata da un probabile egoismo professionale di Salvatores abilissimo a buttare l’occhio verso un cinema prettamente autoreferenziale senza il coraggio di osare e non riuscendo minimamente a ricreare quell’ambiente surreale e violento del romanzo di Nilin. Tra le diverse epoche rappresentate, infanzia di Gagarin e Kolima, post caduta del Muro di Berlino e l’ambientazione militare sulle montagne del Caucaso, la più riuscita è , infine, la prima

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