Partiamo con le presentazioni: la regista polacca Malgoska Szumowska fa parte della Zentropa di Lars von Trier ed il suo film, “Elles“, non è affatto facile da digerire per chi ha voglia di finzione cinematografica. La storia di “Elles” non è propriamente reale, ma ne rappresenta molte altre che fanno parte del nostro quotidiano ed è raccontata in maniera documentaristica, con così tanta attenzione al dettaglio e ricerca della naturalezza, da convincere lo spettatore che sia reale.
Siamo a Parigi, Anne è una giornalista e lavora per la celebre rivista Elle. Sta portando avanti un’inchiesta sulla prostituzione delle studentesse, che però giorno dopo giorno finisce per travolgere anche la sua vita privata. Anne è la classica donna borghese che apparentemente vive una vita perfetta: splendido attico con panorama sulla capitale francese, due figli ed un marito con un lavoro importante. Conoscendo le giovani prostitute ed ascoltando le loro storie, Anne comincia a capire che appartiene ad un universo non troppo lontano dal loro: la borghesia non è delimitata da confini dal mondo di quelle studentesse che come clienti hanno proprio mariti annoiati di donne borghesi, troppo prese dall’arredamento della casa o troppo contenute da non voler soddisfare le loro voglie più nascoste.
Malgoska Szumowska decide di portarci all’interno di questa storia avvalendosi di uno spietato realismo, fin dal primo fotogramma: le scene di sesso sono esplicite e non troppo gradevoli, mostrano le giovani studentesse intente a prostituirsi per garantirsi un percorso di studi facilitato e per sfuggire alla povertà delle loro vite, che di certo non diventano meno misere se circondate da mobili ed abiti di lusso. Anne, intervista dopo intervista, inizia a mettere a fuoco la sua, di vita, ed il rapporto con un marito sempre più assente, che la lascia insoddisfatta e talmente irrigidita dalle sue impostazioni sociali da non lasciarsi mai andare. La vodka, le risate e la musica con le ragazzine sfacciate in cerca di denaro facile, le permettono di vedere le cose da un altro punto di vista.
Il merito della regista polacca è quello di raccontare la storia davvero super partes, senza permettersi di giudicare nè di schierarsi da una parte o dall’altra: come protagonista assoluta c’è Juliette Binoche, naturalissima (in tutti i sensi, per fortuna una donna senza botulino in faccia!) nell’impersonare le frustrazioni della giornalista. La realtà che Malgoska Szumowska ci mette davanti non riguarda, chiaramente, solo Parigi, è diffusa anche nel nostro Paese e ci presenta una società malata, che non riesce a trovare uno sfogo naturale per i propri istinti, si aggroviglia su se stessa alla ricerca di nuovi percorsi: le giovani che studiano Prevert di mattina, il pomeriggio si prestano ai giochi più perversi di uomini ricchi ma insoddisfatti, mentre a casa le mogli si occupano di preparare le cene per ospitare i loro boss in casa. Un circolo vizioso dal quale anche Anne fatica ad uscire, alla pari delle ragazze che, una volta finite nel giro, non riescono e nemmeno vogliono tornare indietro: un po’ per passione, un po’ per amore del denaro, è questa la triste realtà. La Szumowska ci rende voyeur nelle stanze in cui queste ragazze vendono i loro corpi. E se da una parte c’è un senso di squallore e dolore per quanto accade, dall’altra si accende la consapevolezza di Anne di doversi liberare e di saper andare oltre la finzione, oltre i cliché richiesti implicitamente da una società che si nutre di apparenze.
Nel complesso, l’intento della regista è raggiunto: due mondi si uniscono, amalgamati nella crudezza delle immagini. Buona anche la scelta di una narrazione silenziosa della vita di Anne, che esalta il disagio della donna, rinchiusa nel suo attico perfetto mentre ascolta Radio Classique sdraiata sulla sua comodissima (e costosissima) poltrona.
Voto:
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