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“Enter the Void”: la recensione

Coerente Gaspar Noé. Coraggioso e un po’ folle. A partire dai suoi primi cortometraggi (da vedere “Carne” che ha vinto il premio della critica al Yubari International Fantastic Film Festival), dai videoclip (per “Bone Fiction“, “Arielle” e “Placebo“), passando per i lungometraggi “Seul contre tous” (1998), fino al controverso “Irréversibles” (2002), cui sono state mosse feroci critiche per il lungo stupro ai danni della Bellucci, il regista argentino trapiantato in Francia ha fatto propria una visione di cinema estrema, coraggiosa, senza mezze misure, che seduce lo spettatore per poi turbarlo, destabilizzarlo, shockarlo. Un percorso coerente che conduce fino a quest’ultimo “Enter the Void” che non fa eccezione. Ad una realizzazione tecnica che lascia spesso a bocca aperta, Noè affianca una riflessione a volte cupa, a volte gioiosa, sulla vita e la morte.

Enter the Void

Difficilissimo anche solo raccontare la storia (se di storia si può parlare) di un film che stordisce i sensi (a partire dai bellissimi titoli di testa creati in collaborazione con Thorsten Fleisch), ammalia e colpisce duro in più di un’occasione.

Oscar e sua sorella Linda sono da poco arrivati a Tokyo. Oscar è un piccolo spacciatore di droga, e Linda fa la spogliarellista nei locali notturni. Una sera, Oscar resta coinvolto in uno scontro con la polizia e viene ucciso. In punto di morte – per tenere fede alla promessa che ha fatto a sua sorella di non abbandonarla mai – il suo spirito si rifiuta di abbandonare il mondo dei vivi e comincia a vagare per la città, mentre le sue visioni si fanno sempre più distorte, sempre più da incubo. Passato, presente e possibile futuro si mescolano in un vortice allucinatorio.

In volo su Tokyo

Pensate alla scena iniziale di “Strange Days” di Kathryn Bigelow, o al video dei ProdigySmack My Bitch Up“; elevate all’ennesima potenza; innestate in una fotografia accecante, avrete solo una piccola idea di quello che visivamente è il film. Una lunghissima soggettiva che rende il film un oggetto inusuale nel panorama cinematografico odierno. Un esperimento ispirato al “Libro tibetano dei morti” e alla visione da parte del regista, a 23 anni, de “La donna nel lago” (diretto da Robert Montgomery nel 1947) sotto l’effetto di allucinogeni.

Ma poi le ambizioni del regista sono altre.

“Anche se mi piacciono molto autori come Alan Clark, Peckinpah, Fassbinder o altri che rappresentano la vita con una certa dose di crudeltà, questa volta volevo fare un film allucinatorio fatto di colori e immagini, qualcosa di ipnotico e onirico, in cui la bellezza visuale e l’aspetto sensoriale andassero oltre la realtà fisica – spiega Gaspar Noé in un’intervista rilasciata a Nicholas Schmerkin – senza volermi paragonare a nessuno di questi geni, stavolta mi sono ispirato di più a certe sequenze di “2001 – Odissea nello spazio” o al lavoro di Kenneth Anger. Anche se la psichedelia generalmente è legata all’assunzione di droga, questo non è un film sulla droga e i drogati, ma sull’idea della vita come imbarcazione alla deriva senza un porto di arrivo. Il soggetto principale del film sono piuttosto il mondo affettivo dei mammiferi e la sfavillante vacuità dell’esperienza umana”.

Enter the Void” è un film controverso che suscita sentimenti contrastanti: repulsione, rigetto, ironia, ammirazione, entusiasmo, imbarazzo. Le caratteristische che hanno reso Noè un regista scandaloso e coraggioso ci sono tutte, a partire dalle scene di sesso abbondanti per tutta la pellicola, fino all’esibizionismo dei corpi, in questo aiutato da una protagonista sensuale come Paz de la Huerta.

Non tutto è perfetto, a cominciare dalla lunghezza a volte estenuante del film (143 minuti!), fino all’utilizzo di effetti speciali per le visioni (art supervisor Marc Caro) a tratti un po’ ingenui. Se si resiste e si ha uno stomaco forte, si assiste ad un’opera importante, potente, visionaria ed emotiva.

Tra vita e morte, sesso, droga e amore, un “melodramma psichedelico” (definizione del regista) del genere può finire solo in un sorriso sfocato di una giovane donna. E nel pianto di un bambino che nasce.

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