“Il Padrone della Festa” è un titolo che suscita una certa curiosità fosse anche per il solo fatto che questo trio Fabi Silvestri Gazzè, già da soli, si sono ritagliati un posto di tutto rispetto nel panorama musicale nostrano. L’acronimo è FSG ma anche senza questo si riuscirebbe a riconoscere il loro stile tra migliaia di musicisti. Ecco quello che viene in mente, di getto, mentre si ascolta “Il Padrone della Festa”: inutili prolissità sono abolite e c’è un qualcosa di poetico che ci conduce lungo l’ascolto di questo album, uno tra i più attesi del 2014. Se da soli valgono molto, allora non è azzardato dire che insieme rappresentano un tutt’uno.
La realtà che ci circonda ci spinge sempre più a viaggiare solitari mentre, in controtendenza, Fabi Silvestri Gazzè hanno deciso di unirsi, ma non in parti uguali: si avverte, già dal primo ascolto, che ogni brano è intriso dello stile di ciascuno per un esperimento che possiamo dire riuscito. Ci avevano già provato Lucio Dalla e Francesco De Gregori con “Banana Republic”, o Fabrizio De André con Ivano Fossati in “Anime Salve” ma qui siamo in un diverso contesto: tre scultore partono dal grezzo e regalano al pubblico una pietra miliare, segno che la musica italiana ha ancora percorsi inesplorati da tracciare – rotte da navigare.
Tre sono le canoni che risaltano all’orecchio già al primo ascolto: “Canzone di Anna”, “Giovanni sulla Terra” e “L’Avversario” che, di certo, non mettono in secondo piano le restanti tracce de “Il Padrone della Festa” ma su queste tre ci sarebbe da scrivere un intero trattato. Un viaggio introspettivo, gli artisti che si celano nei panni dei personaggi descritti – cantati. E le loro storie , storie di gente comune sospese tra il sogno e la realtà. Evitando inutili prolissità, ci sarebbe da analizzare la semantica per ben comprenderne il significato. Possiamo dire che “Canzone di Anna” sta a Silvestri come “Giovanni sulla Terra” a Fabi e “L’Avversario” a Gazzè. Sia nello stile musicale, che nella metrica dei testi
Perde un po’ di tono, “Il Padrone della Festa”, con la canzone “Arsenico” che sembra ambientata negli anni ’40 del secolo scorso ma tuttavia messa ad hoc a metà della tracklist dopo le ottime “Life is Sweet” e “L’Amore non esiste”. Una pausa, con un testo tutto da ascoltare…e metabolizzare. La curiosità nell’ascoltare quest’album, comunque, la si avverte già dal primo brano “Alzo le mani” una bella ballata, una provocazione sottile dal titolo…al testo.
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“Zona Cesarini” segue la stessa scia di “Arsenico” ma il ritmo sincopato di “Spigolo Tondo”, una della migliori canzoni de “Il Padrone della Festa”, richiama l’attenzione all’ascolto e via all’immaginazione: molto ermetico questo ossimoro, eppure il testo parla chiaro. “Come mi pare” è la canzone che possiamo definire più tosta di tutto l’album, musicalmente in primis: fa da sponda con l’altrettanto provocatoria e speranzosa “Il Dio delle piccole cose” (Hai perso per strada il rossore / il sorriso / di chi fa finta di niente / Io spero che esista anche un Dio delle piccole cose / che sappia i silenzi / mai diventati parole). Curiosità il testo della canzone è del cantautore Gae Capitano, origine ligure, vincitore del Premio Lunezia 2012 mentre la musica porta la firma di FSG.
“Il Padrone della Festa” è un disco molto poetico, mai banale né scontato. Se dal punto di vista musicale non sono presenti particolari innovazioni, rappresenta comunque un disco da possedere nella propria discografia: vuoi per collezione, vuoi per parlare con se stessi. Quale miglior mezzo se non le canzoni?