Fabrizio Corona si racconta al Corriere della Sera e dal carcere di Opera nel quale è rinchiuso ormai da quattordici mesi, a parlare non è più lo stesso uomo che ha varcato quel portone per guardare il mondo da dietro le sbarre, ma un uomo nuovo. Infatti il Fabrizio scavezzacollo, insolente, il paparazzo che non guardava in faccia nessuno e che passava sul corpo di tutti coloro che avevano avuto la sfortuna di suscitare il suo interesse, si dice un uomo diverso. Ne ha passate tante da pensare anche al suicidio, molti lo hanno difeso, altri lo hanno condannato prima ancora di saperlo colpevole, ma adesso pare sia veramente cambiato.
Queste le sue nuove dichiarazioni rilasciate al suo intervistatore:
Il carcere mi ha salvato la vita. Mi ha fatto tornare con i piedi per terra. È riuscito a fermare un treno in corsa perenne da anni che ultimamente aveva perso sogni, equilibri e alzato troppo l’asticella del limite. Mi ha fatto scoprire il senso della realtà, insegnato a star bene con me stesso e messo nelle condizioni di proseguire nel migliore dei modi lungo la strada della vita quando tornerò libero.
Ha avuto tempo per guardarsi dentro, ha dipinto, ha scritto, non solo lettere e ha letto tanto per dare una svolta al suo futuro:
Sono sempre lo stesso, il dna non lo puoi cambiare. Però sono migliorato, in tante cose. Sono più vero, più lucido e più uomo perché ho visto gente soffrire e morire, ho visto il tormento, la paura, lo sconforto, la vera solitudine e l’abbandono, ho capito cosa sono la cattiveria e la vera violenza. Tutto questo mi ha reso più forte.
Parla poi in modo negativo della giustizia e delle condizione delle carceri italiane:
Nei miei confronti non c’è mai stata parità di giudizio: o scandalosamente innocente o dannatamente colpevole. È sempre stata solo una questione di simpatia o preconcetto, pregiudizio. Qui mi sono reso conto ancora di più dell’ipocrisia della giustizia italiana, che non è egualitaria. Assassini colpevoli condannati a 12 anni e solo presunti condannati all’ergastolo, anni di pena dati come fossero noccioline in carceri dove il concetto di rieducazione non esiste, dove le condizioni di vita, di igiene, di convivenza sono disumane e vergognose.
Ammette però che la stessa giustizia gli ha permesso di avere uno sconto di pena arrivando a sei anni e undici mesi di reclusione:
Quando ho presentato l’istanza di messa in continuazione poteva capitarmi un giudice a cui stavo simpatico o uno che mi odiava. Dovevo solo sperare di trovare un giudice che avesse il coraggio di guardare gli atti, studiarli e fare giustizia senza timore di ferire i benpensanti e i finti moralisti. Un giudice capace di prendersi delle responsabilità, onesto, vero, giusto. L’ho trovato. Questo giro, finalmente, mi è andata bene. Ricordo lunedì 10 febbraio. Scendevo le scale per andare in sala avvocati come un robot. Quando si è aperta la porta ho guardato gli avvocati negli occhi. Mi hanno fatto un grande sorriso e ho ripreso a respirare.
Fa un bilancio degli errori commessi e di scelte sbagliate nella conduzione della sua detenzione:
Rifiutare un patteggiamento ad otto mesi per Vallettopoli, un’indagine assurda, ma nessuno ha avuto mai il coraggio di ammetterlo, a causa della quale ho preso tre condanne, compresi i 3 anni e 10 mesi per bancarotta, dopo aver risarcito il danno. Da incensurato fui arrestato e portato a Potenza, feci un mese di carcere duro con quel Pepe Iannicelli, boss delle ‘ndrine bruciato vivo due mesi fa con la fidanzata e quell’angelo di suo nipote di soli 3 anni. È normale che dopo 4 mesi di detenzione preventiva sono uscito arrabbiato.
Spiega come si fa per non impazzire in carcere, basta non darsi per vinti e, anzi, darsi da fare anche per la comunità:
Faccio moltissimo. Quando ero a Busto Arsizio ho inventato un portale innovativo per i detenuti, ho raccolto circa 70 mila euro per loro, ho scritto un libro, ho lavorato come portavitto e sono riuscito dal carcere a mandare avanti la mia azienda senza farla fallire e mi sono mantenuto in forma allenandomi per almeno un’ora al giorno. Ho sempre tenuto vivo il cervello e ho ripulito l’anima». Con la libertà, cosa le manca? «Mi manca tantissimo mio figlio e mi mancano da morire le emozioni quotidiane che la vita ti dà. Qui, in parte, è come essere morti.
Adesso Fabrizio Corona sogna di ottenere i primi permessi e la prima cosa che farà sarà quella di riabbracciare il figlio Carlos:
Vado a scuola a prendere mio figlio. È un anno che mi immagino questa scena, e so che solo quando lo vedrò uscire mi renderò conto di quante cose ho buttato nella mia vita, quante cose ho veramente perso.