La nota rivista musicale Rolling Stone dedica la copertina del numero in edicola da oggi, 2 Luglio, ad un’icona della musica italiana, Fabrizio De Andrè. La cosa curiosa è che Rolling Stone mette in discussione la figura del musicista criticandone la sua santificazione post mortem avvenuta nel 1999. Nel lungo racconto firmato da Carlo Antonelli attraverso i ricordi di coloro che lo conoscevano meglio, ossia la moglie Dori Ghezzi, l’amico Paolo Villaggio, Massimo Bubola e Mauro Pagani, l’autore cerca di ricostruire il vero De Andrè, quello che magari alcuni hanno dimenticato presi dal processo di beatificazione a senso unico. Un Fabrizio De Andrè assolutamente umano, che con molta probabilità si sentirebbe egli stesso infastidito da tanta santificazione. Rolling Stone, dedicandogli la copertina, ricostruisce storicamente i tempi in cui ha vissuto il musicista e analizza come lo trattarono i media del tempo, riflette su come la “tv della canonizzazione” abbia trasformato De André post mortem e fotografa la villa in in Sardegna dove fu rapito nel 1979. Dori Ghezzi scherzando dice: “Era sicuramente più cazzaro che santo“. Ed è la stessa Dori a raccontare: “Oggi sono l’archivio storico di un fatto culturale e musicale importante che non appartiene direttamente a me. E a volte sento un senso di rigetto per questo ruolo, non mi sento portata. Più che fare la testimonial, amo occuparmi di progetti concreti, far nascere delle cose. Se mi presto è perché mi rendo conto che mi tocca, e che questo porta a realizzare cose buone. Ma vorrei defilarmi”. Tu cosa gli rimproveravi? “Cosa gli perdonavo, vorrai dire! Il farsi del male. Non faceva male agli altri, ne faceva a se stesso. Specie quando beveva troppo. Aveva momenti di rabbia non controllata perché non era più lui. Dopo vari tentativi di smettere, ricevette la spinta decisiva dal padre, che glielo chiese dal letto di morte. A volte vorrei che gli avesse anche chiesto di smettere di fumare“.