Benvenuti ad una nuova puntata di “Fatte e rifatte“, la nostra rubrica sul mondo delle cover. Oggi andiamo ad esplorare quella che è una delle canzoni che ha subito più cover nella storia della musica in generale. Parliamo di “Hallelujah” di Leonard Cohen.
“Hallelujah” è una canzone scritta da Leonard Cohen e registrata per la prima volta nel 1984 nell’album “Various Positions“: la canzone è poi ricomparsa anche nell’album “Cohen Live” del 1994 in una versione live molto diversa dall’originale registrata nel 1988 e anche nel doppio cd/dvd del 2009 “Leonard Cohen: Live in London“, ma né l’originale né la nuova versione ottennero un grande successo, se non tra i fan del cantautore.
La prima cover della canzone risale al 1991 e viene incisa da John Cale. Da allora è un escalation e ad oggi le reinterpretazioni incise sono più di 180. La canzone è stata inoltre usata innumerevoli volte come colonna sonora di film, documentari e telefilm.
Ascoltiamo per prima, come sempre, la versione originale.
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Come detto prima, la prima cover in assoluto di questo pezzo risale al 1991 ed è opera del cantante John Cale, solo voce e piano. E già comincia ad essere a dir poco emozionante.
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La reinterpretazione più famosa, addirittura più conosciuta dell’originale stessa (tanto da far sì che alcuni attribuiscano il pezzo erroneamente a lui), rimane comunque quella di Jeff Buckley, contenuta nell’unico album “Grace” del 1994. Qualcosa che tocca davvero dentro.
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Una delle cover più recenti e più famose di questa canzone è quella della cantante Alexandra Burke, vincitrice della quinta edizione dell’X-Factor britannico. Cover di valore, certo, con una bella voce, ma secondo me non ha la potenza delle precedenti come sentimento.
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Una versione molto toccante è anche quella regalata da Justin Timberlake e Matt Morris durante lo show “Hope for Haiti now”. Solo voce, piano e chitarra per una suggestione molto particolare, che mostra tutta la forza che vibra dentro questa canzone.
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La penultima versione che vi facciamo ascoltare è quella “live” degli Alter Bridge, dove il cantante Myles, armato solo della sua voce e della sua chitarra, ricorda molto da vicino la versione di Buckley, aggiungendo un tocco di blues.
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Concludiamo questo nostro viaggio con una cover fatta da un italiano, e come italiano ho scelto Giulio Casale, ex leader del gruppo rock italiano degli Estra, perchè come stile si avvicina moltissimo all’originale rispetto ad altre. E perchè è davvero un bel sentire.
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Il nostro viaggio finisce qui. A me non resta che salutarvi, invitarvi a dirci la vostra su queste cover ed invitarvi alla prossima puntata di “Fatte e rifatte“.
