La sesta stagione di “American Horror Story” si è conclusa con il mantenimento di tutte le promesse che Ryan Murphy aveva fatto prima della messa in onda.
L’articolo contiene spoiler da adesso in poi, perciò se non avete ancora visto il season finale tornate a trovarci subito dopo! Questa sesta stagione di “American Horror Story” si è distinta dalle precedenti, in particolare dalla criticata “Hotel“, usando una struttura completamente diversa. Divisa in tre blocchi, “Roanoke” è stata capace di stupire il pubblico ma si è persa a tratti e questo era il timore principale, quasi tutte le stagioni di “American Horror Story” si perdono verso la metà per poi recuperare sul finale, probabilmente nel tentativo di “allungare il brodo”.
Ryan Murphy ha usato social network e media in genere per tessere la critica che sta sotto una storia nemmeno troppo elaborata, che sfrutta i cliché di genere senza mai tralasciare un commento globale sulla società che ci circonda. Le telecamere sono infatti lo strumento dominante dell’intera stagione, perfino in punto di morte tutti sono concentrati sulla testimonianza da tramandare e l’immagine di sé che devono trasmettere. Nella prima parte di “Roanoke” abbiamo seguito lo sviluppo del documentario “My Roanoke Nightmare” in cui tra le testimonianze vere e le messe in scena per la narrazione, abbiamo conosciuto Matt, Shelby e Lee e gli attori che li interpretano. La casa infestata dalla Macellaia e tutto l’universo che le ruota attorno ritorna anche nel secondo blocco, con “Roanoke: Three Days in Hell“. Sydney, che interpreta un creatore-sciacallo, decide di rimescolare le carte e di portare sia chi ha vissuto la storia reale sia gli attori tutti nella stessa casa, durante i giorni della luna di sangue. Ne viene fuori un massacro che non lascia scampo quasi a nessuno, ma per scoprire chi riuscirà a sopravvivere tocca aspettare l’episodio finale.
Terzo blocco, quindi, in cui Ryan Murphy ha deciso di buttare nel calderone programmi su programmi, sfruttando non solo i cliché del genere horror ma anche quelli televisivi. Per l’occasione ha quindi sfoggiato “Crack’d“, un programma di approfondimento sulla figura di Lee, la sopravvissuta al massacro dei “tre giorni all’inferno”, accusata di avere ucciso il marito Mason. La donna è accusata di aver ucciso anche alcuni membri della famiglia Polk (ricordate? L’avevano torturata giusto un po’) e ha perso la custodia della figlia Flora, che sostiene di aver assistito all’omicidio del padre. Dopo il primo programma assistiamo al ritorno di Lana Winters (Sarah Paulson) dalla seconda stagione, “Asylum“. Sia lei che Lee sono riuscite a fuggire dall’inferno, anche a costo di fare cose deprecabili. La Winters decide di tornare al lavoro solo per poter intervistare Lee in diretta, annunciandole poco dopo la scomparsa di Flora. Tutto in “American Horror Story” è circolare e si torna al punto di partenza, alla figlia smarrita. Murphy inizia la stagione illudendoci che la storia ruoti attorno a Matt e Shelby e anche del fatto che sia Lee l’unica sopravvissuta, per poi ribaltare ogni cosa. Lee continua a cercare Flora senza risultato per poi pensare che sicuramente sarà con Priscilla, torna quindi alla casa durante i giorni della luna di sangue, tanto per cambiare. A quel punto il suo cammino si intreccia con quello di “Spirit Chasers”, programma-parodia degli acchiappafantasmi della tv che tanto vanno di moda, perfettamente ritratti nella loro spettacolarità forzata. Nella fattispecie, però, gli spiriti non sono affatto finti e nemmeno loro riusciranno a fuggire dal massacro della Macellaia. Lee riuscirà finalmente a trovare Flora e per amore della figlia sceglierà il sacrificio, resterà al fianco di Priscilla e farà abbattere la casa maledetta pur di sapere che Flora potrà vivere libera.
“Roanoke” sicuramente ha segnato il riscatto di una serie che alla quinta stagione si era rivelata fortemente deludente ma di certo non è perfetta. Ci sono molte scene ridondanti e alcune parti noiose, come abbiamo già detto. Molti altri aspetti sono stati affrontati in maniera superficiale e rimangono anche molte domande da porsi. Ryan Murphy però è riuscito in qualche modo ad unire tutte le stagioni: l’uomo maiale di “Murder House”, Lana Winters da “Asylum”, Scathach (Lady Gaga) da “Coven”, il signor Mott discendente del pazzo Dandy di “Freak Show”, ma il collegamento con Scathach su tutti suona forzato, nessuna spiegazione la ricollega alla Suprema Originaria, se non quella di Murphy, che però non si vede all’interno della serie. Chi lo segue ormai da tempo sa anche che non bisogna farsi troppe domande per apprezzare il risultato finale, Ryan Murphy mescola generi e stili, ama sorprendere e a volte preferisce non seguire esattamente un filo logico pur di riuscire nel suo intento. Lo si nota negli episodi centrali di questa stagione, tuttavia migliore delle ultime due.