Fino a qui tutto bene.
Questo il titolo del secondo lungometraggio di Roan Johnson (I primi della lista), questo anche lo spirito che ha guidato la produzione del film, per cui è stata seguita una prassi particolare, praticamente inimmaginabile in un panorama cinematografico abituato al solo linguaggio del lucro e del profitto: la realizzazione in partecipazione. Nessuno, fra attori e tecnici è stato pagato per il lavoro svolto, ma a ognuno è stata assegnata una percentuale sugli incassi che, si spera, il film sarà in grado di riscuotere in sala.
Cinque ragazzi, compagni di gioie e dolori di quelli che sono, troppo spesso erroneamente definiti gli anni più belli della nostra vita, alla vigilia dell’ultimo fine settimana che trascorreranno nel nido pisano, si trovano a fare i conti con il passato e con un futuro che li aspetta appena dietro l’uscio di casa.
Tre ragazzi (Alessio Vassallo, Paolo Cioni, Guglielmo Favilla) e due ragazze (Silvia D’Amico, Melissa Bartolini), ciascuno a modo proprio riottoso all’idea di abbandonare la casa per buttarsi a capofitto nel mare della “vita vera”, fra gli squali del lavoro e le responsabilità del mondo degli adulti.
C’è chi è stato preso per un posto di lavoro ben pagato nella lontana Islanda, chi deve scegliere se mollare armi e bagagli e seguire l’amore all’estero, la ragazza madre sessualmente libertaria, il fuori corso, e quello ancora alle prese con l’ex fidanzata (Isabella Aragonese) che non pare avere dimenticato.
Cinque giovani attori che si sono calati nella veste dei loro personaggi tanto da condividere realmente una convivenza in un’angusta casupola pisana per il tempo delle riprese, indossando i propri abiti e cercando di arricchire, ciascuno nella propria personalissima maniera, un film dalla partenza un po’ sgangherata, certo non fortunato come altre produzioni italiane fin troppo favorite da set hollywoodiani o produzioni generose. Il risultato è una pellicola povera da un punto di vista tecnico-strutturale, ma riccamente aderente al vero e alla concretezza delle problematiche giovanili.
Le conversazioni dei cinque cadono spesso sul mondo del cinema e del teatro italiano, realtà agognata da alcuni fra loro, a cui guardano da lontano e con disillusione, spingendo lo spettatore a riflettere sullo stato della settima arte nel nostro bel paese e sulle dinamiche che, nella realtà, vi fanno da padrone.
Sebbene della vicenda proposta si possa assaporare un certo retrogusto teatrale per il confronto interpersonale-esistenziale dei cinque, che si troveranno ben presto a rivangare avvenimenti passati o a dichiarare rancori e ostilità non perdonate, la pellicola non spicca per una sceneggiatura particolarmente originale o brillante, cedendo spesso il passo a luoghi comuni o volgarità.
Ciononostante, Fino a qui tutto bene è un esperimento cinematografico brioso e piena di vita, che ritrae la gioventù italiana positiva e dinamica, pronta a sfidare la crisi e ad abbattere il nichilismo e il pessimismo sociale che grava sulle spalle di chi deve proprio oggi cercare un lavoro e partire da zero.
Insomma, ode a una generazione che, per dirla con un understatement, non è di sdraiati o di choosy, ma propositiva e vogliosa, come questi cinque giovani attori hanno mostrato, credendo in un progetto low budget e dedicandosi anima e corpo ad un sogno divenuto realtà, per il solo amore del cinema.