Di primo acchito sarebbe facile ridurre il film di Yeon Sang-ho a un lapidario confronto con altri film di genere simile: Train to Busan si ridurrebbe ad essere solo uno “Snowpiercer con gli zombie“, oppure un “The Walking Dead girato su un treno“; e tanto basterebbe per chiudere la recensione in poche righe e passare al film successivo.
Ma il film del regista sudocoreano, proiettato nel corso della 15a edizione del Florence Korea Film Fest, nonostante sfrutti un genere ormai utilizzato in diverse modalità, riesce comunque a dire la sua e a intrattenere i suoi spettatori. Seppur presentato come genere horror, Train To Busan regala solo qualche sporadico sussulto e si concentra piuttosto sulla visione sociologica dei personaggi – in un contesto sudcoreano propenso al classismo e allo zelo lavorativo -, oltre che sull’azione brillante e scene che sanno smorzare la tensione.
Train To Busan: la sinossi
Un virus non identificato si diffonde velocemente nel paese: il Governo coreano è costretto a dichiarare la legge marziale. Le persone che si trovano su un treno per Busan, città che è riuscita ad arginare l’epidemia con successo, devono combattere per la propria sopravvivenza. Da Seoul a Busan sono 453 km: l’unico modo per rimanere vivi è salire sul treno.
Ingabbiati nei vagoni di un treno in partenza nell’istante in cui è scoppiata l’epidemia, i vivi sono costretti a scegliere fra salvare se stessi o pensare anche agli altri, lasciarsi prendere dal panico o pensare con coscienza a come arrivare vivi a destinazione.
Per Yeon Sang-ho Train To Busan è il primo film con attori in carne e ossa. Già in passato si era fatto apprezzare con le animazioni, si pensi ai cruenti quanto bellissimi “Kings Of Pigs” e “The Fake“, oltre a “Seoul Station” (prequel di Train To Busan”). Alla sua prima esperienza con personaggi veri, nel film spiccano il rude quanto simpatico Ma Dong-seok (aka Don Lee), la bambina Kim Su-an e Gong Yoo, il quale conferma bravura ed eleganza fuori dal comune, come dimostrato anche in “The Age Of Shadows” di Kim Jee-woon.
Train To Busan ha trovate interessanti e qualche accenno di violenza, sicuramente meno frequente rispetto ai suoi precedenti lavori, e in alcuni momenti sfiamma d’interesse, soprattutto quando spinge eccessivamente su un messaggio altruista. Permane a lungo, però, il brivido agghiacciante che suscita a un passo dal finale, lasciando lo spettatore con gli occhi sbarrati nel desiderio di vedere un finale sperato.
In patria ha ottenuto consensi e ottimi incassi: meritati, non c’è che dire.