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Frankenweenie: la recensione

Nel 1984 un giovane Tim Burton realizzava il cortometraggio Frankenweenie””, ora vero e proprio oggetto di culto per tutti i fan del cineasta che all’epoca dovette affrontare l’ira della Disney che accusò il regista di aver realizzato un’opera controversa e soprattutto facilmente sottoponibile (e così è stato) alla implacabile censura che vietò il corto ai minori di 14 anni.

Quasi trent’anni dopo “Frankenweenie” segna il ritorno dietro la macchina da presa di Burton che, partendo dal progetto iniziale, realizza una graditissima pellicola d’animazione in bianco e nero e stop motion premiata con la nomination nella prossima Notte degli Oscar (leggete qui tutte le nomination).

Trama

Victor è un bambino non molto vivace, con la passione per la scienza (anche grazie alle interessanti lezioni di Mr. Rzykruski) e per il suo fedele amico a quattro zampe, Sparky. Quest’ultimo viene però investito da un auto in corsa provocando una devastazione nel cuore del ragazzo che riconosceva in quel grazioso bull terrier, l’unico vero amico. Durante una lezione di scienza il ragazzo maturerà, però, una folle idea: motivato dalla improvvisa rianimazione di una rana a causa di una scossa elettrica, deciderà di riportare in vita Sparky sfruttando l’energia sprigionata da un fulmine. L’esperimento andrà a buon fine ma sarà l’inizio di una serie di guai per lui e per tutta la città…

Victor e Sparky
Victor e Sparky

Giudizio

“Frankenweenie” rappresenta una delle punte più alte toccate dal visionario regista californiano che in questo lungometraggio d’animazione riesce a trasmettere tutto il suo retaggio cinematografico e letterario, donando al tutto una irresistibile componente vintage con spruzzatine citazionistiche continue, da Mary Shelley, ad Elsa Van Helsing, a Frankestein (cognome del giovane Victor), Dracula fino alla figura di Mr Rzykruski che ricorda da vicino un monumento del genere horror come Vincent Price.

Frankenweenie
Frankenweenie: Il ritorno di Sparky

 

Naturalmente la letteratura di riferimento è quella di Mary Shelley e del suo Frankestein, già più volte trasportato sul grande schermo. Le fattezze del piccolo Sparky (compreso chiodi e cicatrici) lo ricordano e il bianco e nero utilizzato da Burton si rivela una scelta decisamente felice poiché riesce a ricreare, seppure in una pellicola d’animazione, quella atmosfera gotica, classica, del cinema dell’orrore degli anni trenta. Quello che sorprende è però il cuore e il sentimentalismo provocato dalle azioni del piccolo Victor, scienziato non per ambizioni personali ma per amore. L’amore che un bambino, così come un adulto, prova per il suo animale domestico. Ed è per questo che “Frankenweenie” provoca una fortissimo processo empatico in tutti noi spettatori, con la possibilità della lacrimuccia dietro l’angolo.

L’animazione dei personaggi convince decisamente (sono strepitose le espressioni dei protagonisti, Victor e Sparky in primis) e in quel circolo autoreferenziale dell’orrore (anche di burtoniana memoria) sarà compito del pubblico più smaliziato riconoscere i numerosi omaggi visivi che il regista di Burbank ci ha regalato.

Nonostante possa apparire mellifluo ai più, “Frankenweenie” si presenta come una delle migliori pellicole d’animazioni di genere dark anche grazie a un irresistibile incipit che vede protagonista la famiglia di Victor impegnata nella visione – in 3D – di un film girato da loro figlio insieme al piccolo Sparky. Un cinema che parla a se stesso e – forse mai come  questa volta – un Tim Burton che parla con il cuore.

Consigliatissimo

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