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G-Fast, una one man band improntata al rock ed originalità

Proseguiamo come nostro solito il viaggio nella realtà della musica italiana con The Passenger e questa volta abbiamo deciso di scegliere un artista che è in pratica una “one man band”, G-Fast.

G-Fast, al secolo Gianluca Fasteni, è un musicista ed un cantautore di chiare influenze blues, rock e funk nonché arrangiatore e produttore. Chitarrista da molto tempo, ispirato a generi che vanno dal blues di John Lee Hooker e Seasick Steve al rock di Jimi Hendrix, senza disdegnare puntate nelle tendenze più moderne rappresentate da artisti come Rage Against The Machine, Moby e Kruder&Dorfmeister, G-Fast dal 2010 si dedica al suo progetto solista del tutto particolare: suonare con una vecchia chitarra acustica con sole tre corde, una pedal board e lo slide, presentandosi in scena con audacia, fantasia e bravura ed una buona dose di voglia di stupire per colpire l’ascoltatore assemblando il tutto.

Il primo disco, il lavoro autoprodotto “Dancing with the Freaks” (El Mariachi Studios Production – 2010), ottiene ottimi riscontri di pubblico e critica ed è seguito da un lungo tour di oltre cento date in tutta Italia: questo dà la voglia e la carica a Fasteni per proseguire nel suo progetto coraggioso ed originale, presentandosi anche nei live con una scenografia molto particolare e dal sapore circense piena di effetti speciali, dando vita ad uno spettacolo da ascoltare e guardare unico nel suo genere.
Dal 2013 G-Fast decide di adoperare anche la formula Power Duo insieme ad un batterista e per dare vita ai brani del suo nuovo album “Go to M.A.R.S.”, uscito per La Fabbrica/Audioglobe nel gennaio del 2014.

G-Fast | Foto fornita dall'artista
G-Fast | Foto fornita dall’artista

A tu per tu con G-Fast

Uno degli scopri di The Passenger è quello di far parlare gli artisti: la nostra chiacchierata con G-Fast ci ha permesso di capire meglio il percorso assolutamente fuori dall’ordinario di questo artista. Eccovi la nostra conversazione.

G-Fast, dal 2010 hai deciso di darti alla carriera solista e come “One Man Band” hai scelto una forma inusuale per presentiarti, utilizzando una chitarra acustica con sole tre corde e una pedal board. Da dove è partita la scelta di questa forma musicale?

L’idea parte da una voglia personale di sperimentare, di provare qualcosa di nuovo e di mettersi in qualche modo in gioco. Dopo parecchi anni al servizio come chitarrista, nell’approccio ad un progetto solista volevo fosse particolare e personale.

Ascoltando il tuo disco posso dire che spazi molto, partendo dal blues fino ad arrivare al rock, in un percorso musicale che parte idealmente da John Lee Hooker per finire con Jimi Hendrix. Quale ascolto ti ha dato la spinta per cominciare a suonare? Chi consideri il tuo maestro? 

Ho iniziato a suonare molto giovane, per gioco inizialmente suonando punk e hard core, suonando cover di gruppi come S.O.D., D.R.I., Agnostic front, Suicidal Tendencies, un volta cresciuto e preso coscienza della passione allo strumento, iniziai ad ascoltare molto blues e Rock anni 70. A dire il vero credo che tu abbia centrato in pieno i due nomi che mi hanno ispirato parecchio quali John Lee Hooker e Jimi Hendrix, poi i Led Zeppelin e i Rage Agaist The machine hanno dato la mazzata finale.Ovvio poi dire che molte altre Band e generi mi hanno influenzato parecchio,ma qui apriremmo un capitolo veramente lungo.

Il tuo progetto coraggioso va avanti soprattutto con una intensissima attività live dove il pubblico si trova immerso in una sorta di circo itinerante. Quanto è importante per te confrontarti con i tuoi ascoltatori?

Trovo che il rapporto con il pubblico sia indispensabile per la crescita di un progetto.Da musicista, spesso si pensa che in un disco ci siano brani più alla portata di un pubblico più vasto rispetto ad altri, ma puntualmente questa cosa viene smentita, ti trovi a discutere finito i concerti con persone a cui è piaciuto più di tutti un brano che tu magari avevi messo come ultimo brano del disco.Ultima cosa, e’ che spesso durante i live stessi, dal pubblico trovo ispirazione per qualche battuta, uno sketch, o addirittura un brano.Questo è’ anche il bello della gente.

“Go to M.A.R.S.”: ascolto e recensione

Dopo il disco di esordio “Dancing with the freaks“, seguito da oltre cento date in tutte Italia, il 21 gennaio è uscito per l’etichetta La Fabbrica il nuovo lavoro di G-Fast “Go to M.A.R.S.“, un viaggio sonoro verso l’omonimo pianeta rosso che segna un nuovo importante sviluppo nel percorso artistico dell’artista milanese, come dice lui stesso:

cover G FAST
G-Fast – “Go to M.A.R.S.” – Cover

“Ho imbarcato dieci personalità diverse, con dieci storie e stati d’animo, su questa nave ribelle nei confronti del sistema corrotto e decadente, la M.A.R.S. (My Alternative Rebel Ship), diretta verso l’omonimo pianeta rosso. Un approdo sconosciuto ma al tempo stesso sognato, un posto alternativo, in parte mistico, lontano dalle ingiustizie e dai deliri umani. Io sono la guida e il confidente di questi personaggi che durante il viaggio mi raccontano le loro storie, a cui chiedo la possibilità di riportare in canzoni i loro racconti e le loro vite.”

Il disco,  anticipato dal primo singolo “I like it“, che è anche il secondo brano, mostra un certo amore per il passato ed un ritorno alle origini del rock, con la chitarra sempre protagonista ma dove la melodia non è lasciata in secondo piano e dove c’è soprattutto molto amore per il blues e per il southern rock, come dimostrano brani come “Go to M.A.R.S.” e “Mystical man” e soprattutto “Like an angel“, il tutto accompagnato da una voce graffiata al punto giusto. Non mancano episodi più rock sotto l’aspetto stretto del termine come “On my own” ed i brani più morbidi come “Crazy” e la ballad finale “What I think of you” dove lo slide regna sovrano.

Il disco non ha post-produzione in fase di editing ed è stato suonato e registrato esclusivamente con strumenti e attrezzature vintage, il tutto rinetrando in questa scelta dell’artista di questo “back to basics”, questo ritorno alle origini dove viene privilegiato l’aspetto compositivo e melodico rispetto a quello tecnico, cosa che si nota anche grazie agli arrangiamenti dove G-Fast si apre all’uso di chitarre a sei corde invece che a tre e dove c’è una batteria per conferire ai brani più potenza ed esplosività. Un disco di rock puro e sincero da parte di un musicista capace di stupire e raccontarsi senza fronzoli o aiuti elettronici ma con solo la voglia di suonare.

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